L’ultimo consiglio Comunale di Orta Nova, tenutosi lo scorso giovedì 28 aprile, tra i vari punti all’ordine del giorno prevedeva anche la proposta di delibera presentata dall’assessore all’agricoltura e alle politiche cimiteriali, Alessandro Paglialonga. Con la medesima mozione si invitava il Sindaco e la Giunta del comune dei Cinque Reali Siti ad intraprendere tutte le azioni di pressione di propria competenza volte a promuovere il ritiro da parte del Governo italiano, nell’ambito del consiglio Europeo, dal TTIP, il Trattato Transatlantico sul commercio e gli investimenti. Inoltre l’approvazione, avvenuta poi all’unanimità, impegnerà il Comune ad organizzare azioni di sensibilizzazione contro il suddetto trattato tra i cittadini ortesi. La deliberazione è stata successivamente inviata all’Anci, al Consiglio Regionale, al Consiglio dei Ministri, al Parlamento Italiano e alla Commissione Europea. Di seguito è riportato il testo integrale dell’intervento proponente di Paglialonga durante l’assise Comunale.

 

“Il Partenariato transatlantico sul commercio e gli investimenti, ovvero l’accordo di liberalizzazione economica che Stati Uniti e Unione europea negoziano dal 2013, rappresenta in prima battuta una seria minaccia per i diritti civili, l’ambiente e i servizi pubblici nel suo tentativo di spianare la strada alle grandi imprese multinazionali, interessate ai rispettivi mercati. Nel luglio del 2013, Stati Uniti e Commissione europea hanno ufficialmente avviato le trattative (riservate) per il Transatlantic Trade and Investment Partnership (TTIP), un accordo di libero scambio che, oltre all’abbattimento di dazi e tariffe per fluidificare il flusso commerciale tra i due lati dell’Atlantico, si propone di armonizzare standard e regolamenti che ad oggi costituiscono le cosiddette “barriere non tariffarie”. Si tratta di normative che tutelano i consumatori, l’ambiente e i servizi dalle leggi che governano il libero mercato, tese in primo luogo a garantire il massimo profitto per gli investitori.

Se il TTIP dovesse andare in porto, l’Europa dovrebbe rivedere radicalmente il suo approccio alla regolamentazione, che si ispira al cosiddetto principio di precauzione, per adeguarsi al sistema statunitense. Esso prevede minori controlli sui prodotti e i processi di produzione, minori tutele per il lavoro e l’ambiente, un incremento di privatizzazioni e liberalizzazioni dei servizi. Per quanto riguarda i benefici, gli unici studi di impatto finanziati dalla Commissione europea hanno prodotto risultati risibili: ad esempio un aumento del PIL europeo di 0,5 punti percentuali al 2027. In cambio, i cittadini e le piccole e medie imprese dovrebbero accettare una riduzione degli standard e delle tutele che li esporrebbe alla concorrenza di un’ondata di prodotti a basso costo provenienti dagli Stati Uniti, nonché ad una competizione feroce e insostenibile. Secondo studi indipendenti, il TTIP potrebbe provocare la perdita di 600 mila posti di lavoro in Europa entro i primi 12 anni. Oltre ad un calo del proprio potere d’acquisto, i cittadini europei e italiani vedrebbero diminuire il livello di sicurezza alimentare, la qualità dei servizi e dell’ambiente, nonché una contrazione dei diritti civili.

L’impatto del TTIP sulle politiche ambientali ed energetiche potrebbe essere altresì devastante. Ansiosa di diversificare gli approvvigionamenti a seguito della crisi ucraina, Bruxelles preme per aprire un canale transatlantico di importazione del petrolio e del gas naturale estratto dagli USA con il “fracking”. Una simile decisione andrebbe in direzione opposta rispetto al percorso di de-carbonizzazione dell’economia deciso a dicembre dalla Conferenza ONU sul clima di Parigi (COP 21). Cattive notizie anche per il settore delle rinnovabili: secondo uno studio della Commissione Trasporti, Ricerca e Industria (ITRE) del Parlamento europeo, pubblicato nel gennaio 2015, il commercio delle tecnologie potrebbe essere amplificato tramite la rimozione dei cosiddetti requisiti di contenuto locale (LCR). Si tratta di misure che impongono alle aziende di reperire beni o servizi (per 3 una certa percentuale) da filiere territoriali. Con la firma di un trattato di libero scambio come il TTIP, tutte queste attenzioni per l’economia locale verrebbero meno, consentendo alle imprese estere di reperire manodopera e materiali in Paesi dove costi e diritti sono più bassi. A tal proposito e al contrario della società civile, vi sono tutte le intenzioni, da parte di Bruxelles, di ammorbidire regolamenti e standard per i processi di ricerca ed estrazione degli idrocarburi in Europa, nonché per il commercio di carburanti ottenuti con tecniche non convenzionali (“fracking” e sabbie bituminose) e ad alto impatto climatico.

Con il TTIP in vigore, potrebbe essere molto difficile, se non impossibile, negare alle compagnie un permesso per ragioni ambientali o di sicurezza. La ragione si chiama ISDS (“Investor State Dispute Settlement”), sigla che identifica una clausola contenuta in migliaia di accordi di libero scambio tra cui questo in discussione. Grazie all’ISDS, le imprese estere possono citare in giudizio i governi che emanano provvedimenti potenzialmente in grado di ridurre i loro profitti. I processi si tengono presso tribunali sovranazionali, a porte chiuse e senza possibilità di ricorso in appello. In questi tribunali, lo Stato può solo difendersi e mai giocare la parte dell’accusa. Quindici arbitri privati decidono l’eventuale risarcimento che dovrà sborsare per aver violato (anche per una scelta nazionale/locale che avrà ricadute nel futuro!) il diritto dell’investitore estero ad un “trattamento giusto ed equo”. Inutile dire che, nella maggior parte dei casi, lo Stato perde: le sanzioni oscillano da qualche milione di euro alle decine di miliardi; cifre che mettono in serio pericolo la capacità di legiferare dei governi. Per paura di una condanna, essi potrebbero infatti decidere di congelare o cestinare un progetto di legge nato per tutelare l’interesse pubblico, la salute dei cittadini o la qualità dell’ambiente.

Ebbene, per quanto già detto, oggi questo Consiglio Comunale ha una grande responsabilità e allo stesso tempo possibilità, di mettere in discussione un accordo che rischia di mettere a repentaglio la sovranità economica e politica dell’Italia, la sicurezza alimentare dei nostri prodotti di qualità e gli interessi strategici delle nostre imprese. La nostra nazione non deve ancora una volta chinare la testa e piegarsi ai diktat di qualcuno, ma chiedere espressamente di rimettere subito in discussione il trattato e far conoscere i suoi dettagli all’opinione pubblica e al Parlamento italiano, evitando ancora una volta di fare gli interessi dei poteri forti e delle multinazionali e non quelli dei cittadini. Per le premesse sopra esposte si chiede pertanto al Sindaco e a tutti i Consiglieri presenti di approvare il presente ordine del giorno”.

L’Assessore all’Agricoltura (Avv. Alessandro Paglialonga)

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