Raccontare la propria malattia e raccontarsi attraverso la fotografia. E’ l’esperimento di Emma, una giovane ragazza pugliese di ventidue anni, originaria di Stornara, con la passione della fotografia sin da piccola. Lo scorso anno ha lanciato il suo primo progetto fotografico personale, dove ritrae sé stessa in tutte le foto, mettendosi in gioco e andando a sensibilizzare un tema forte e poco discusso come la depressione, che l‘artista ha vissuto in prima persona. E’ stata lei stessa a presentare questo progetto, parlando apertamente e condividendo un pezzetto della propria storia con tutti i partecipanti, cercando di avvicinarvi a questa malattia, che in maniera subdola ti porta via da tutti coloro che ami e che ti amano. Nella sua giovane vita, infatti, ha già convissuto con demoni contro cui ho dovuto combattere, pensieri davvero negativi che non poteva controllare. Una lotta che ha condotto non solo con le parole, ma soprattutto con le immagini.

“Quelli che ho inserito nella mostra non sono i miei soliti scatti – racconta Emma Boleyn (questo il suo nome d’arte, ndr) –, non sono i soliti che posto sui social, truccata per bene, a far finta di niente, che vada tutto ok. Al contrario, c’era la vera me, in pigiama, trasandata, divorata. Da cosa? Dalla depressione, apparsa sei anni fa e non andata più via. Ogni tanto ribussa alla mia porta, non mi chiede se può entrare, tipo quei parenti indesiderati”.

Il progetto di Emma lo scorso anno è stato sposato in pieno dai gestori del laboratorio giovanile ResUrb di Cerignola, uno spazio reale amministrato da ragazzi under 30 con l’obiettivo di dare voce ad artisti locali. “Con questi autoritratti – spiega ancora Emma – ho deciso di mettermi a nudo una volta per tutte, non so nemmeno io dove abbia trovato il coraggio, grazie alla fotografia voglio mandare un messaggio: non nascondetevi, non rinnegatevi e non abbiate vergogna”.

Il titolo dell’esperimento fotografico, Disorder, non poteva essere più evocativo: disturbo, generato da una malattia che colpisce di soppiatto, anche ragazzi molto giovani, nel pieno dell’adolescenza.

“Quando ero bambina e frequentavo le scuole elementari sono state vittima di episodi di bullismo – precisa la ragazza in un’intervista –. Mi sono portata dietro per tanto tempo questa ferita e ho dovuto lavorare parecchio su me stessa per superare la sensazione di disagio e vergogna che provavo. Sono una persona molto sensibile e questo lato del carattere mi ha reso sempre fragile ed insicura. Inoltre, durante l’infanzia, ho subito la perdita dolorosa di alcune persone care. La depressione mi ha divorata privandomi di amici ed affetti – prosegue –, per fortuna la mia famiglia è riuscita a starmi vicino, anche se all’inizio ha sottovalutato il mio problema, pensando ad un temporaneo disagio adolescenziale”.
Poi, è arrivata la terapia d’urto, quella ragione di vita che ti fa uscire dal baratro: la fotografia, in questo caso. Nonostante gli scatti siano tutti in bianco e nero, in alcune immagini si intravede uno spiraglio di luce. La debolezza di Emma ad un certo punto diventa la sua forza, e la fotografia è il mezzo per comunicare agli altri il suo disagio. Negli autoscatti Emma esprime la sofferenza, il suo mettersi da parte per vergogna e paura di non essere capita.

“Per me – osserva Emma – è diventata una forma di terapia che posso usare per combattere contro la depressione. Con la macchina posso dare vita a un’emozione che provo, in modo da poterla vedere. Una volta che la vedo stampata non
è più nella mia testa, e questo mi dà un sollievo incredibile. La fotografia crea un ponte fra me e chiunque guardi le mie immagini”.

Oggi Emma sta lavorando ad altri progetti, ma comunque non ha accantonato l’esperienza di Disorder che è stata in lungo e in largo apprezzata in tutte le sedi dove è stata ospitata. Adesso sogna di poter intraprendere la vita da freelance, attraverso reportage in giro per l’Italia. Chissà che la sua prima rassegna non possa essere un buon viatico per una carriera di soddisfazioni professionali nell’ambito della fotografia.

Articolo di Pietro Capuano

Estratto dal Quotidiano L’Attacco

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