Quando nel cuore hai l’Africa e l’Africa la trovi dietro casa, non serve fare tanta strada per sentirsi appagati. Eppure Francesco Di Gennaro ne ha fatti di viaggi, ma l’ultimo, quello tra i ghetti della Capitanata, è senza dubbio quello che sta segnando maggiormente la sua infaticabile attività di volontariato.

28 anni, specializzando in malattie infettive e tropicali presso l’Università degli studi “Aldo Moro” di Bari, originario di Stornarella, si occupa di cooperazione sanitaria allo sviluppo, in qualità di volontario dei “Medici con l’Africa Cuamm”, una Ong italiana che da anni si prodiga per prestare soccorso sanitario e promuovere lo sviluppo in alcuni paesi subsahariani.

Da un anno e mezzo a questa parte, in collaborazione con la Fondazione “Nicola Damiani” e altre organizzazioni che operano nel campo della tutela della salute, lo specializzando foggiano ha preso parte ad una programmazione di interventi all’interno di alcuni punti nevralgici della provincia di Foggia. Sono i cosiddetti “ghetti” che proprio di recente sono tornati al centro della discussione in seguito allo sgombero delle baracche di Rignano e alla conseguente morte di due migranti avvolti dalle fiamme in circostanze poco chiare.

Di storie, Francesco ne potrebbe raccontare a iosa. Quasi tutte le domeniche sale sullo stesso camper adibito a poliambulatorio e quando scende trova dinanzi a sé un nuovo inferno, con tante criticità da contrastare e tante malattie da debellare. Con competenze necessariamente polispecialistiche e con il materiale che hanno a disposizione, i volontari si prodigano nel somministrare farmaci (laddove sia consentito) e nel visitare i braccianti stremati dalle interminabili giornate di lavoro.

WhatsApp Image 2017-03-03 at 00.12.29“La difficoltà più grande – spiega Francesco, intervistato da questa testata – è rappresentata da una iniziale diffidenza degli abitanti dei ghetti, nei nostri riguardi. Tutto ciò si verifica perché siamo percepiti come delle figure estranee. A riguardo di questa normale diffidenza, la formazione Cuamm ci ha fatto comprendere quanto il tempo e la continuità degli interventi siano fondamentali per costruire un rapporto di fiducia con queste persone bisognose, che dopo si aprono e mostrano i loro problemi. Dal punto di vista sanitario, le patologie più comuni sono quelle che derivano dalle fatiche quotidiane e dallo sfruttamento nei campi: disidratazione, patologie osteoarticolari vanno per la maggiore. Poi ci sono tutti i virus che si trasmettono sessualmente in seguito alla pratica della prostituzione e alle violenze immancabili che subiscono le donne. Per quanto riguarda queste malattie, in qualità di volontari, possiamo soltanto limitarci a segnalarle alle autorità competenti”.

Ma al di là del campionario diagnostico costruitosi via via durante le visite nei ghetti, prendere visione di queste drammaticità è servito anche per formulare un’analisi sociologica e per arrivare a riflettere sulla radice del problema. “Tra vent’anni ci accorgeremo che abbiamo avuto la grande opportunità di osservare in anticipo il mondo del futuro” – sottolinea Francesco che, nonostante la precarietà degli strumenti e il mancato supporto delle istituzioni non ne fa un dramma e anzi afferma che lo spirito del volontariato sia proprio quello di dover fare di necessità virtù.

15965184_10208170574399195_3812251425829302800_n“Non esiste la panacea per questi problemi – spiega il volontario foggiano – ma già il fatto stesso di parlarne e studiare il fenomeno è una parte della risposta che possiamo e dobbiamo dare. Sono molto legato al discorso dei ‘determinanti sociali’. Penso che nessuna persona decida di vivere in un ghetto, in condizioni igienico-sanitarie pessime, che ledono la dignità oltre che la salute. Per questi motivi bisognerebbe intervenire alla radice del problema, che è senza dubbio rappresentata dal rispetto del lavoro. Se i lavoratori fossero pagati il giusto, probabilmente i ghetti non esisterebbero. Se esistono e perché fanno comodo a tutti coloro che ci vivono intorno e a chi vuole affiancare ricchezza ad altra ricchezza”. 

Probabilmente, quando si prende familiarità con i bassifondi dell’esistenza si impara a riscoprire il piacere della propria esistenza. Il Mozambico e l’Etiopia sono state delle esperienze che hanno cambiato e formato Francesco, al punto tale da permettergli di affrontare quest’altra “missione” a pochi passi da casa, con il sorriso sulle labbra e la determinazione di chi sta percorrendo la strada prescelta. Sta tutto qui il messaggio che si sente di lasciare, al termine dell’intervista.

“Il mio auspicio è quello di un grande impegno giovanile. Giorgio La Pira diceva che ‘i giovani sono come le rondini, portano sempre la primavera’. L’augurio più grande è quello che la nostra terra entri in un processo di ‘primavera’ che sia soprattutto per le persone che stanno sopportando l’autunno da troppo tempo”.

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