A sorpresa, con un lungo post su Facebook, Iaia Calvio, ex sindaco di Orta Nova, ha annunciato di non volersi impegnare per portare la sua gente al voto delle primarie PD del 30 aprile, nonostante la sua adesione alla mozione di Renzi. Dinamiche interne poco chiare, una rottamazione promessa ma mai avvenuta, grandi assembramenti multiformi all’esterno del Partito e così l’avvocatessa ha deciso di togliersi dei sassolini dalla scarpa a pochi giorni dalla consultazione del popolo di centrosinistra o presunto tale. Riportiamo integralmente il suo intervento:

Ho aspettato alcuni giorni: volevo che la mia decisione fosse ponderata, ma non per questo meno dolorosa e amara. So benissimo che la speranza riformatrice e il rinnovamento hanno bisogno di tempo, fatica e perseveranza per trasformarsi in pratica quotidiana, soprattutto al Sud. All’inizio sono stata scettica nei confronti di Matteo Renzi.  Ciò nondimeno questa volta avevo deciso di sostenerlo perché credo che, nonostante alcuni errori, lui sia stato – e possa ancora essere – l’unico che negli ultimi venti anni ha avuto il coraggio e la capacità di imprimere un moto positivo a questo Paese, intrappolato da un tempo insopportabilmente lungo in un immobilismo scandaloso. Insomma, dopo i suoi mille giorni di governo, dopo aver visto che a livello centrale stava cambiando qualcosa, ho pensato che il “miracolo” del rinnovamento potesse verificarsi pure nelle periferie geografiche e politiche.
Il congresso mi era sembrata l’occasione giusta per dare prova concreta della volontà di Matteo Renzi, la sua più di ogni altro, di rompere la filiera del mero cambio di giacchetta, funzionale alla necessità di alcuni di stare sempre a galla. Avevo creduto fosse finalmente arrivato il momento di dimostrare che questo partito non vuole più essere prigioniero di logiche “feudali”; che vuole essere il luogo delle idee e non del conflitto; il luogo del confronto e non quello dell’attribuzione a questa o a quella corrente di quel tanto che basta per usarlo come una clava contro il segretario eletto; il luogo di un rinnovamento che diventa pratica dell’azione politica. Era questo il momento per cominciare a rompere certi schemi e invertire la rotta.  Era questo il momento per colmare il gap tra il gradimento politico che a livello nazionale ancora riscuote il progetto di Matteo Renzi e lo svuotamento dei circoli, la disaffezione e la stanchezza degli iscritti. Ecco, era questo il momento di mettere mano ai guasti dopo averli denunciati, soprattutto in vista delle prossime elezioni politiche, quando si tratterà di proporsi al Paese con un progetto di governo e con candidati credibili.

Mi sarei aspettata un po’di coraggio, a partire da Matteo Renzi, che evidentemente non ha ben compreso che una delle cause più importanti delle sue difficoltà è stata l’aver lasciato i territori ancora in ostaggio di quelli che lui stesso ha definito “dinosauri”. Mi sarei aspettata maggiore coerenza quando si sono fatte le liste a sostegno della sua mozione.
Ma così non è stato e io non ne posso più.  Non ne posso più di fare ricorso a una finta saggezza, a una prudenza di plastica che inducono a dire “vedrai che cambierà, ma non è questo il momento di sollevare questioni”. Non ne posso più, per la semplice ragione che non voglio più essere funzionale a certe pratiche, a una rigenerazione che, visti certi candidati, non è di sostanza – e in alcuni casi neanche di facciata – ma è fatta in vitro in laboratorio, dove a maneggiare vetrini e provette sono sempre i soliti signori del Risiko.

Non ne posso più di dinamiche che hanno sempre i tratti di una conta interna, l’ennesima, fatta sulla pelle dei circoli, puntualmente estromessi dalle decisioni più importanti e tuttavia altrettanto puntualmente sollecitati solo quando si tratta di portare le persone a votare.
Non ne posso più di bizantinismi di schieramento, di primarie usate come “armi improprie” per impallinare questo o quello, o adoperate per il riposizionamento di certuni.
Non ne posso più delle processioni verso Roma con alcuni che, come i Magi, porteranno al neo eletto segretario non oro incenso e mirra, ma la “propria urna” con dentro i voti del 30 aprile come fossero il loro personale titolo per maturare un credito.

Lo so che ci sarà chi derubricherà tutto questo sotto la voce “ma mo’ questa che vuole ?”.
STIANO SERENI, non voglio niente di ciò che pensano.  Voglio semplicemente aprire le finestre e tornare a respirare. Voglio sentirmi libera di non portare le persone a votare, perché non so come spiegare loro il significato di certe scelte nelle liste dei candidati all’Assemblea nazionale e voglio sentirmi libera di dirlo apertamente, senza mezzi termini, facendo seguire la coerenza e la chiarezza dei comportamenti alla radicalità di questa scelta.
Perché le idee camminano sulle gambe delle donne e degli uomini e non si può prescindere dalla necessità di allineare i dati, altrimenti a pagare il prezzo più alto saranno le idee.
Non voglio più che il mio voto serva a coloro che sono stati e sono tra i maggiori artefici dell’atrofizzazione e dell’imbarbarimento del Partito da queste parti, per continuare ad esercitare la loro nefasta influenza su questo territorio, la Capitanata, così assurdamente confermandoli nella convinzione autoreferenziale del “se così si vince, vuol dire che così com’è funziona”.
Perché se il Sud è arrabbiato con Matteo Renzi, con lui più di ogni altro, è perché proprio da lui – che aveva fatto del rinnovamento anche radicale il tratto principale del suo messaggio politico – si aspettava il coraggio di spezzare quelle catene che stanno mortificando uno straordinario capitale umano e politico, stufo di essere servente all’ingordigia di potere di alcuni, dei soliti, degli stessi.  E invece quel coraggio è venuto a mancare, almeno finora.
Ecco perché questa volta non parteciperò.  A partire da adesso non mi presterò più, non sarò più corriva, non sarà più con me e anche attraverso me, non contribuirò più a far perdere al Partito Democratico l’ennesima occasione, almeno da queste parti. Non contribuirò più a mantenerlo ancora sospeso tra quello che voleva essere quando è nato e quello che ancora non è. Tutto questo non lo accetterò più. Non sarà più nel mio nome.  Il Sud non può più aspettare, non può più aspettare il Partito Democratico e, soprattutto, non può più aspettare il Paese. #notinmyname
P.S. Mi auguro che Matteo Renzi torni alla guida del Partito, mi auguro che torni quel Matteo delle origini, quello dell’audacia, del coraggio, della sfrontatezza e della passione, che metta finalmente in pratica quel progetto di rinnovamento nella acquisita consapevolezza che per farlo non ci possono essere scorciatoie e bisogna rischiare. Se sarà quella la strada che intraprenderà, su quel cammino ci ritroverà in tanti.
Un sorriso.

Nota Facebook Iaia Calvio

2 COMMENTI

  1. Brava LAIA, la coerenza ,purtroppo, non è da tutti specie per quei politici che quando parlano, lasciano intendere
    una cosa e ne fanno un’altra: purtroppo pensano solo ai propri interessi, maturare la pensione tirando a campare.
    Il PORTABORSE di Nanni Moretti è attuale più che mai.

  2. Laia so che è sempre più difficile, ma….. resisti resisti resisti – abbiamo bisogno di persone come te.

    Una domanda, ma a ORTA NUOVO come è andata a finire?

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