In una calda giornata di giugno se n’è andato don Vincenzo Patano (Ascoli Satriano, 10 agosto 1941 – Ospedale “Casa Sollievo della Sofferenza” di San Giovanni Rotondo, 8 giugno 2018), sacerdote al servizio della comunità di Carapelle sin dall’11 gennaio 1972, quando assunse l’incarico di vicario economo, e poi ininterrottamente dal 1° luglio 1974, in qualità di parroco della Chiesa Maria SS. Del Rosario fino al suo pensionamento.



Se n’è andato in silenzio e senza clamori, con la simplicitas di sempre e soprattutto forte della sua fiducia in Dio e della sua fede senza confini. Confesso qui coram populo di aver provato un profondo turbamento nel vederlo nella bara questa mattina (sabato 9 giugno), al termine della messa in suo suffragio, mentre ero assalito dai mille ricordi che hanno segnato la nostra amicizia, nata poco dopo il mio arrivo a Carapelle (maggio 1975) e continuata per oltre quarant’anni, scandita anche da momenti conviviali, in alcuni casi “ufficiali” in altri semplicemente amicali. Non ho avuto la possibilità di incontrarlo negli ultimi tempi della sua vita e di questo mi dolgo, così come dovrebbe dolersi chiunque lo abbia “trascurato” dopo il suo pensionamento, perché don Vincenzo, al di là dei legittimi giudizi dei singoli non fuorviati da semplici quisquilie della quotidianità, è stato un punto di riferimento per la comunità di Carapelle, un pezzo importante della storia del paese, anche se ho consapevolezza – anche sulla mia pelle – che, nella stagione che stiamo attraversando, caratterizzata da una sorta di colpevole amnesia storica e da assenza dei valori del rispetto e della riconoscenza, non ci sia più spazio per la memoria, considerata quasi alla stregua di un inutile fardello.

Frequentemente, infatti, oggi si è portati, in nome di una grossolana filosofia materialista, a dimenticare tutti e tutto, presi dalla frenesia di consumare sempre più attimi di presente e a stordirci con sempre più brama di immediatezza, scivolando così verso il nulla di un deserto spirituale ove quello che conta è solo possedere, usare, manipolare, consumare e poi gettar via, per ricominciare sempre da capo. A don Vincenzo mi auguro che questo non capiti mai, perché ho certezza che tutti i suoi concittadini – a meno che non siano in malafede – troveranno in se stessi lo spazio per il suo ricordo, quale tributo di riconoscenza  per l’efficace azione svolta al servizio della comunità in qualità di docente nella locale scuola media, di parroco della Chiesa – madre e soprattutto di uomo inserito pleno iure nella cittadina di Carapelle. Non è possibile, infatti, dimenticare né l’impegno serio e fattivo da lui profuso nella funzione di insegnante di religione di tanti ragazzi di ieri e giovani di oggi (tra i quali i miei figli Gabriele e Adele) né la pregnanza profonda e totalizzante del suo compito di “guida spirituale” (leggi: sacerdote) né la dignità alta e sentita della sua presenza all’interno della società degli uomini.



La “tregua elettorale”, decisa per venerdì 8 giugno dai due schieramenti in campo per la conquista del governo locale, è stato il segnale più evidente dell’affetto della popolazione per don Vincenzo Patano, apprezzata e stimata oltre ogni dire. Per quanto mi riguarda sul piano personale, tralascio qui di ricordare il nostro terreno d’incontro preferito, quello del reciproco confronto sulla storia locale, quando lo incontravo per poter consultare i “registri delle anime” in suo possesso e che oggi sono, per decisione del vescovo Felice Di Molfetta, presso la Curia di Cerignola; tralascio anche di dare spazio  alle nostre conversazioni sulla società di Carapelle in continuo cambiamento, con risvolti anche di segno negativo; non posso, però, fare a meno di ricordare qui le nostre dispute di natura politica – spesso colorate di ironia, di  canzonature, di motti di spirito e di simpatiche “prese in giro” – al termine delle quali ognuno, forse, rimaneva sulle sue posizioni, ma sempre nel rispetto l’uno dell’altro, convinti tutti e due, nel nome di Voltaire, come sia importante anche l’opinione di chi non la pensa come noi.

Quello che “affascinava”, però, nella personalità di don Vincenzo era il suo modo di essere quello che era: oltre ai suoi compiti di sacerdote, infatti, che svolgeva con tutto l’impegno possibile, amava stare tra la gente, ascoltarla, capirla, aiutarla, sostenerla lungo il cammino, leggendo, alla luce dei Vangeli, il convincimento del vecchio Cremete dell’Heautontimorumenos di Terenzio che diceva di sé: homo sum, humani nihil a me alienum puto (I, 1,25). Già l’umanità, quella humanitas cicerionamente intesa, che portava don Vincenzo ad essere un uomo come tutti gli altri, con i suoi punti di forza e le sue fragilità, uno dei tanti, capace, però, com’era di dialogare con tutti e di dispensare a tutti un po’ della sua generosità e della sua fede. Sono certo che mancherà alla gente di Carapelle e a me che gli sono stato amico. Addio per sempre, don Vincenzo.

Alfonso Palomba

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