La storia di ogni donna è spesso una trama complessa, tanti gradini, come una scala, dove ripercorrere la fatica, le delusioni ma anche riscoprire la vicinanza di chi non ha mai smesso di condividere il cammino esistenziale. La famiglia resta l’unico baluardo, la solitudine un ricordo, l’amore, una ricerca senza sosta, forse già presente come tesoro interiore. Maria Grazia si racconta attraverso le sue pagine del suo primo romanzo autobiografico, una storia ricamata tra viaggi interiori, incontri che le hanno cambiato la meta senza dover rinunciare ai suoi sogni di donna. La porta del dolore che si è spalancata all’improvviso e la forza di riscrivere la propria vita attraverso gli affetti più cari. Maria Grazia Schiavone è nata nel 1977 a Manfredonia in provincia di Foggia. Si è laureata nel 2001 con lode in Lingue e Letterature Straniere con indirizzo Turistico Manageriale presso l’Università di Pescara con la Tesi in Filosofia dal Titolo “Individuo e Società competitiva nel pensiero di Bernard de Mandeville”. Ha svolto diversi lavori nel campo turistico e aziendale prima di approdare nel mondo della scuola come docente di Lingua Inglese, suo attuale lavoro. Ama dedicarsi alla musica, al canto e al pianoforte, sua valvola di sfogo.



Maria Grazia, un romanzo, una vita da raccontare, tante scale di cristallo per giungere alla comprensione della tua esistenza di giovane donna. La volontà di cambiare rotta per dimenticare il dolore o una ragione in più per ritrovarsi?
Il dolore non si dimentica, diventa uno scalino della scala della vita che una volta metabolizzato ti permette di rinascere come un’araba fenice dalle ceneri. Senza il dolore non ci può essere una vera consapevolezza di sé. E’ la fragilità che ti dona la vera forza, diventando una fortezza.
“Il mio vestito Rosa”, le ore scandite tra il fuoco del camino e la solitudine, un’ispirazione che nasce dal cuore mai stanco di lottare e riprendere così la corsa della vita. Perché questo titolo?
Il titolo rappresenta una vera storia legata alla mia infanzia. Un vestito rosa che mia madre si confezionò per andare ad un ballo, ma alcuni ostacoli del cuore glielo impedirono. E quel vestito rosa rimase appeso nell’armadio, un abito da guardare ogni tanto per sentire il profumo dell’antico. Un abito che ho deciso di indossare per me e per tutte le donne che vogliono riprendere le redini della propria vita senza aspettare alcun permesso. Il rosa è il simbolo di rinascita e di resurrezione.
Quindi essere una donna rappresenta ancora una sfida, oserei scrivere una minaccia per una società che si basa su stereotipi arcaici e canoni culturali che ingabbiano le prospettive e il futuro. Come donne ci attende una doppia battaglia tra il voler essere e il dover essere secondo quanto previsto dalla nostra educazione di stampo patriarcale. Quali sono, secondo la tua esperienza, i primi nemici da abbattere per essere pienamente se stesse?
Ho sempre lottato contro il detto latino legato alle donne “domi mansit lanam fecit”(rimase in casa e filò la lana). La donna si è emancipata aprendosi alla vita e reagendo alle avversità. I primi nemici da abbattere sono gli stereotipi che scaturiscono dall’occhio sociale non ancora pienamente emancipato. Una donna libera, indipendente, con un lavoro e con una cultura della vita spaventa oggigiorno.
Scrivere è come dipingere in versi la propria esistenza, cosa ti ha spinto a redigere il tuo primo romanzo autobiografico? Potrebbe rappresentare un inno di ringraziamento o un messaggio di speranza?
Ho sempre scritto nella mia vita, diari, lettere, frasi. Scrivere permette all’anima di respirare e allo spirito di elevarsi. La pubblicazione del mio romanzo è stato un vero atto liberatorio, una risposta agli “schiaffi” della vita, un messaggio di amore, un dire a me stessa: “ce L’ho fatta!”.



Un messaggio di speranza per tutte le donne che si ritrovano a lottare, ad alzare lo sguardo oltre la coltre nera del dolore, chi ti ha accompagnata in questa risalita? Ho letto i tuoi genitori. La forza della famiglia, una risorsa per un cuore errante che cerca l’unico rifugio ancora capace di accogliere?
Un massaggio per tutte le donne e anche gli uomini che conoscono il dolore nelle varie forme, soprattutto legato a storie d’amore difficili. La famiglia è il primo nucleo, una madre che porta in grembo una vita e un padre che aiuta anche solo con lo sguardo, con parole d’amore e la comprensione sono i veri pilastri di una vita vera e sincera. Famiglia e fede, due pilastri incrollabili. Senza la fede non può nascere la speranza nel cuore né il coraggio di reagire.
Mi ha colpita una frase del tuo caro papà: “Figlia mia, non sapevo avessi sofferto così tanto”, dopo aver letto il tuo romanzo, un legame indissolubile, ma anche una roccia dove approdare dopo il naufragio, quale ruolo ha la famiglia attualmente?
Mia madre è stata la prima lettrice. Per una figlia è sempre difficile esprimere apertamente i propri sentimenti per evitare le sofferenze. Come scrivo nel libro, riporto una frase di Beethoven “amare vuol dire donare le rose e tenersi le spine”. La mia famiglia è stata ed è per me un faro nella notte, anche se lontani siamo vicini con il cuore. Non sono mancati i consigli e il sostegno dati anche attraverso gli sguardi e poche parole. Sguardi che parlano e dicono “noi ci siamo”.
Maria Grazia, quando rivolgi il tuo sguardo verso te stessa, chi vedi? Intendo come se ti osservassi attraverso uno specchio interiore. Chi è diventata Maria Grazia?
Maria Grazia è oggi una donna consapevole, una donna che continua a credere nella forza dell’amore nonostante le cadute. Una donna che crede che il dolore sia necessario per acquisire più sicurezza interiore e forza interiore. Una donna libera da schemi mentali pronta ad aiutare e sostenere il prossimo con la testimonianza della propria vita, capace di mettere a nudo le proprie insicurezze, distaccata dal giudizio della gente. Determinata a vivere la propria vita “succhiandone il midollo” come si diceva nel celebre film “ L’attimo fuggente”. Una donna messaggera di fede, di speranza e di amore.
Puoi citarmi una pagina del tuo romanzo, una in particolare, alla quale sei più legata?
“Voliamo più in alto dei giudizi, delle critiche, delle cattiverie; lasciamoci dietro tutto quello che ci ha fatto soffrire e non permettiamo a nessuno di portarci via quel pizzico di serenità che meritiamo…perché io ho voglia di me, ho voglia di te, ho voglia di noi! Ti amo”.
Un Ti amo rivolto a chi è consapevole del vero significato di queste parole immense. Lo dedico a tutti coloro che leggeranno quelle 67 pagine.

Maria Pia Telera

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