Potito Di Pietro, Raffaele Colucci, Enrico De Lisi, Giuseppe Scarangella e Michele Fabbiano. Sono soltanto alcuni dei nomi di illustri ortesi che nel corso degli ultimi decenni hanno donato materialmente o culturalmente qualcosa che ha contribuito all’apertura del Museo della civiltà contadina presso il Palazzo Ex Gesuitico ‘Michele Fabbiano’ di Orta Nova. Un progetto partito nell’ambito della scorsa programmazione del GAL – allora chiamato “Piana del Tavoliere” – rifinanziato a più riprese dalle amministrazioni comunali e alloggiato all’interno dei locali del palazzo storico ortese i cui locali furono assegnati nel 2015.

60354620_2307946169490556_6478174570707681280_nNella serata di mercoledì 15 maggio si è tenuta la cerimonia del taglio del nastro, alla presenza del sindaco Dino Tarantino, dell’assessore alla cultura Alessandro Paglialonga, della presidentessa dell’associazione “I Cinque Reali Siti” che gestisce il Museo, Antonietta Di Leo, del professor Alfonso Palomba (memoria storica locale) e dell’architetto Savino Botta che ha curato il progetto dell’allestimento dei locali. Negli 88 metri quadri dei tre locali a piano terra sono stati sistemati oggetti originali che risalgono alle antiche abitazioni  e alla quotidianità lavorativa della civiltà contadina dell’800, dedita all’agricoltura e all’allevamento del bestiame  All’interno del nuovo museo tutte le indicazioni esplicative poste nei pressi dei reperti sono rigorosamente in dialetto locale, nel tentativo di restituire a futura memoria anche la terminologia nel gergo contadino.

Durante il discorso introduttivo, la presidentessa dell’associazione “I Cinque Reali Siti”, Antonietta Di Leo ha raccontato tutte le vicissitudini che hanno portato ai ritardi per l’apertura del museo. Nel sottolineare che “il museo non appartiene all’associazione” ha confermato la disponibilità dei soci ad aperture programmate nei giorni in cui le scolaresche ne faranno richiesta, per organizzare così visite guidate e giornate studio. Prima di procedere al taglio del nastro, il sindaco e l’assessore con delega alla cultura hanno ricordato l’importanza di consegnare a futura memoria l’insieme delle tradizioni locali, nelle quali si riconosce il territorio agricolo della provincia di Foggia. Il sindaco ha sottolineato anche gli sforzi della sua amministrazione comunale per pervenire all’apertura del museo e per consentire la fruizione dello stesso.

In seguito agli interventi istituzionali, ha destato molto interesse la relazione tecnica dell’architetto Savino Botta, il quale ha posto in rassegna tutte le problematiche rilevate in fase di definizione del progetto. Dalla sua relazione è emerso che i locali, per la loro limitata capacità planimetrica, siano soltanto una sede provvisoria del museo, “in attesa di progettualità per il restauro dell’altra ala del Palazzo Ex Gesuitico”. L’architetto ha sottolineato che soltanto pochi giorni fa siano giunte le somme dal Comune per provvedere alla certificazione anticendio richiesta per dichiarare agibili i locali. Ma al netto di questo ha elogiato la realizzazione di un progetto che potrebbe essere ulteriormente potenziato tramite la musealizzazione “delle trenta campane votive ristrutturate dal professor De Lisi, ma non esposte per mancanza di spazi”.

Da tutto quello che è stato messo in mostra, però, emerge quella che era la ricerca del bello, a dispetto delle aspre condizioni di vita in cui erano costrette a vivere le famiglie ortesi dei tempi che furono. Un’ulteriore testimonianza visiva, all’interno dei locali del museo, è quella che consente di scorgere il pavimento antico del Palazzo Ex Gesuitico, rialzato di diversi centimetri dopo i lavori di ristrutturazione. In questo modo antico e moderno si uniscono in un passaggio di consegne generazionale che non vuole assolutamente cancellare ciò che è stato, ma altresì valorizzarlo e tramandarlo ai posteri.

 

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