“Essere uno scienziato significa essere un ingenuo. Siamo così concentrati sulla nostra ricerca della verità, che non riusciamo a considerare quanto pochi in realtà vogliono davvero che la troviamo. Ma è sempre là, che la vediamo o no, che la scegliamo o no.
La verità non si preoccupa dei nostri bisogni o desideri. Non si preoccupa dei nostri governi, delle nostre ideologie, delle nostre religioni. Rimarrà là in agguato per sempre. E questo, finalmente, è il dono di Chernobyl. Quando un tempo avrei temuto il costo della verità, ora mi chiedo solo: qual è il costo delle bugie?”
Valerij Alekseevič Legasov



Queste sono le parole di Valerij Legasov (interpretato da un magistrale Jared Harris), il fisico che principalmente fu incaricato di risolvere l’emergenza creatasi. L’Eroe russo postumo, troppo onesto per la dittatura dell’epoca. Era il 26 aprile 1986 quando il mondo, assopito nel cuore della notte, subiva il più grave incidente della storia nucleare fino ad allora.

Tutti ne hanno sentito parlare almeno una volta, a scuola, in qualche notiziario, o sulla bocca di qualche politico, tutti almeno una volta hanno udito quella parola: Chernobyl.
Comprendere cosa sia realmente accaduto quella notte e negli immediati giorni successivi è stato il topic della miniserie omonima che HBO e SkyAtlantic hanno prodotto. Un focus chiaro e crudissimo che ripercorre in modo analitico gli eventi satelliti di quello spaventoso disastro.

Erano i tempi della Guerra Fredda, di Gorbačëv ed erano gli ultimi anni del regime Sovietico. Tutto appare molto cupo, triste e irreversibile. Un tetro scenario di morte e vuoto, inquadrato in lontananza. Ed infatti poi attraverso vari personaggi abbiamo modo di vedere ogni angolo della tragedia, ogni differente punto di vista. Tutto ciò che fu il processo di “liquidazione” dell’intera area viene riprodotto esattamente come avvenne e ne sono una dimostrazione le immagini di repertorio che pochissimo si discostano dalla finzione. La potenza dell’accaduto, tutta la sua gravo eredità si palesa sotto i nostri occhi, e sotto quelli che allora erano lì a vedere l’invisibile: le migliaia di radiazioni che si diffondevano nell’area e danneggiavano ogni cosa, viva o morta. Devo ammettere che non è stata una miniserie facile da guardare, ma del resto le cose importanti non lo sono mai.



Il regista Johan Renck ci porta in quei luoghi oramai disabitati da trentatré anni, poco prima e poco dopo che il fatto succedesse donando quindi allo spettatore quella strana sensazione di conoscenza e impotenza allo stesso tempo. Tratto liberamente dal saggio Preghiera per Černobyl’ del Premio Nobel bielorusso Svjatlana Aleksievič, questa miniserie è un’opera imperdibile per la storicità della sua connotazione e la cura che presenta in ogni dettaglio. Senza esagerazioni, allo stesso modo di Schindler’s List, Chernobyl è uno monito che esige e merita attenzione.

Di seguito il link del video del Corriere della Sera che mette a confronto le immagini di repertorio con quelle della serie, vedere per credere.
https://gds.it/video-dal-web/syndication-dalla-rete/2019/06/17/realta-e-fiction-a-confronto-ecco-le-vere-scene-di-chernobyl-ed5e7c09-d2fa-4765-800f-6a55efa18721/

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