Diffondiamo integralmente il messaggio natalizio del Vescovo della Diocesi Cerignola – Ascoli Satriano, Monsignor Luigi Renna.



Carissimi fratelli e sorelle,
la solennità del Natale ci raggiunge in un momento particolare della nostra storia e, proprio perché in questa festa celebriamo il mistero di un Dio che si fa uomo, non possiamo non pensare a cosa il Natale porta a uomini e donne che vivono in città e paesi feriti dalla criminalità in questo lembo di Puglia. Per qualcuno, tutto ciò che riguarda la fede non dovrebbe coinvolgere anche la vita sociale, economica e politica dei cittadini. Chi pensa questo sbaglia enormemente perché proprio la fede in un Dio che si fa uomo per condividere la nostra condizione e redimerla costituisce il nucleo del cristianesimo. Un Padre della Chiesa dell’antichità, Sant’Atanasio di Alessandria, affermava: “Dio si è fatto uomo perché l’uomo diventi Dio”. Questa espressione, tradotta in un linguaggio più vicino alla cultura del nostro tempo, può risuonare così: “Dio si è fatto uomo perché l’uomo ‘umanizzi’ la sua umanità”. “Umanizzare” le nostre città è un compito a cui non possiamo sottrarci! È sotto gli occhi di tutti che la criminalità organizzata della nostra terra entra nell’economia e negli affari delle città e, alla minima “disattenzione”, estende i suoi “tentacoli”, che soffocano il futuro del nostro bene comune. Di fronte a questa situazione così dolorosa ci sentiamo feriti, ci fermiamo in preghiera davanti al mistero del Natale, non per rifugiarci in un clima intriso di spiritualità dolciastra, ma per non sfuggire alle nostre responsabilità del momento. Lo stesso papa Francesco, nella sua lettera a sostegno della tradizione del presepe, Admirabile signum, scrive: “Mentre contempliamo la scena del Natale, siamo invitati a metterci spiritualmente in cammino, attratti dall’umiltà di Colui che si è fatto uomo per incontrare ogni uomo”. Dio vuole incontrare e incontra, certamente, le nostre città con i loro problemi. Il Vangelo ci presenta la nascita di Gesù con poche parole: “Maria diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo pose in una mangiatoia” (Lc 2,7). Le fasce: un tempo i bambini venivano fasciati, e questo gesto era il segno dell’amore materno nei confronti della fragilità del neonato. Un bimbo avvolto in fasce era una creatura che riceveva attenzioni e cure! Quel segno ritorna altre volte nel Vangelo, quando si dice che Gesù fu avvolto in bende e in un sudario, dopo che fu deposto dalla croce (cfr. Lc 23,53): anche quello era segno di cura di Maria, di Giovanni, di Giuseppe di Arimatea. E, inoltre, Gesù nella parabola del Buon Samaritano narra che costui curò le ferite dell’uomo che era stato malmenato, e le fasciò accuratamente (cfr. Lc 10,34). Quelle fasce sono il segno della cura di una umanità fragile e ferita: la nostra umanità che Dio è venuto ad assumere. Quei panni di cui è fasciato Gesù ci insegnano che le fragilità non vanno trascurate, ma curate e guarite.
LE NOSTRE FRAGILITÀ E FERITE
  La fragilità di una economia precaria: salari bassi, sfruttamento dei lavoratori, arroganza di datori di lavoro che non lasciano scelte ai loro dipendenti, crisi economica che ha portato alla chiusura di attività commerciali e di aziende, lasciando “al buio” molte famiglie. Viviamo in una zona della Puglia in cui le imprese non investono: forse perché hanno paura di qualcuno? Di qui, tantissimi mali! Quelli delle persone che si rassegnano a non reclamare più i loro diritti perché temono di rimanere disoccupati. Quelli dei tanti che non cercano più lavoro e vivono di espedienti. Quelli che cedono al facile guadagno che proviene dallo spaccio di droga e dalle azioni criminose. Come curare questa economia e farla uscire dalla illegalità? C’è bisogno di una progettualità degli imprenditori, dei politici, dei sindacati. C’è bisogno di investire in maniera sana, accettando il confronto e il sistema delle gare, impedendo che chi fa la “voce grossa” possa intimidire i suoi concorrenti.



La nostra è la fragilità di una politica che assume il volto del populismo. Essa non ha una sensibilità democratica che, prima di essere uno stile delle amministrazioni, deve avere regole, senso della partecipazione, capacità progettuale nella società civile. Chi vuole far politica non può essere solo animato da buona volontà, ma deve essere capace di fare squadra con senso della democrazia; deve avere progettualità condivisa e trasparente; deve riscoprire il proprio ruolo “educativo”. Più che mai, nella nostra terra, deve raddoppiare la sua vigilanza sulle procedure amministrative: agendo si educa e si dà forma ad una società giusta.
C’è fragilità, inoltre, nell’educare. Che esempio danno i genitori ai figli? A quali valori li educano? E gli adulti che fanno politica, giornalismo, cultura, volontariato, si limitano a trasmettere la loro immagine di uomini forti, sprezzanti del confronto e della pacatezza, o istigano i giovani ad essere delle belve in una giungla? La fragilità educativa che emerge nelle case, nella rassegnazione di certi docenti, nell’arroganza dei discorsi politici, è in stridente contrasto con la posatezza, l’educazione e lo stile dei padri della nostra Costituzione!
Lo spettro della corruzione e la vigilanza dei cittadini. L’insegnamento della Chiesa in materia sociale così descrive la corruzione: “Tra le deformazioni del sistema democratico, la corruzione politica è una delle più gravi, perché tradisce al tempo stesso i principi della morale e le norme della giustizia sociale” (Compendio della Dottrina Sociale, n. 411). La corruzione è lo spettro che si aggira per la Capitanata, per infiltrarsi nelle relazioni, nell’economia e nella politica. Così continua, mettendoci in guardia, la Dottrina Sociale: “La corruzione distorce alla radice il ruolo delle istituzioni rappresentative, perché le usa come terreno di scambio politico tra richieste clientelari e prestazioni dei governanti” (ivi). È ciò su cui occorre vigilare! Ogni minima disattenzione va ad ingrassare gli interessi di pochi, di coloro che investono qualche “soldino” nella loro città, ma hanno illeciti proventi che impoveriscono molto più di quanto ci illudiamo che diano in ricchezza. Perché è solo la loro ricchezza: dove non c’è spazio per la giustizia avanza la miseria! Le città hanno tante ferite! Denunciarle significa non lasciarle incancrenire. Annunciare il Vangelo, che ci insegna la via della giustizia e della carità, significa avviare processi di legalità. La piccolezza e la precarietà del Bambino Gesù sono simili alle povertà di cui ciascuno di noi soffre nel nostro territorio. Le fasce con cui avvolgerle per curarle sono da “tessere” insieme. Invito ancora le famiglie, le scuole, le associazioni di volontariato, i movimenti e i partiti politici ad avviare un processo di riflessione, che non sia solo denuncia, ma un cantiere di legalità e di cittadinanza. Invito, soprattutto, i fedeli laici delle nostre parrocchie, confraternite e associazioni, ad avere consapevolezza dei mali delle città e contezza delle loro risorse. “Fasciare le ferite” INSIEME! È importante che tutti camminiamo nella stessa direzione, che è quella della legalità, via al bene comune. L’avversario da sconfiggere non è il politico di turno, ma chi vuole minare il bene delle città con comportamenti mafiosi.
“Fasciare le ferite” NEL RISPETTO DELLA PERSONA. E delle posizioni politiche dell’altro! Non è più il tempo di divisioni ideologi che, né di populismo che inganna la ragione e usa le “macchine” dei social per distruggere tutto. Sui media, nei comizi, che si parli della propria virtù, non dei vizi degli altri, perché non si diventa virtuosi abbassando la stima verso gli altri.
“Fasciare le ferite” NELLA GIUSTIZIA. Saper reclamare i propri giusti diritti di lavoratori, abbracciando i doveri. Chi si lascia comprare per uno stipendio da fame, purtroppo, alimenta l’ingiustizia.
“Fasciare le ferite” NELLA LEGALITÀ. Contrastare le dipendenze dalla droga, dall’alcool, dal gioco. È un compito che investe non solo le Forze dell’Ordine, ma anche la famiglia, la scuola, la parrocchia, la società civile!
“Fasciare le ferite” NELL’ONESTÀ. Non fare compromessi a discapito della trasparenza e dell’economia, negli acquisti come nell’attività imprenditoriale. Occorre “avviare processi”, come ci raccomanda papa Francesco, perché solo da una profonda e costante azione educativa e sociopolitica, la nostra terra potrà risorgere. La Vergine Immacolata, che avvolse in fasce il suo Figlio, e San Giuseppe che vegliò su di Lui, ci accompagnino in questo percorso di cura delle nostre città. E il Natale non sarà stato celebrato invano!

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