Importante operazione anti-caporalato in provincia di Foggia. Sono state accertate e documentate le condizioni di sfruttamento cui erano sottoposti numerosi braccianti extracomunitari provenienti dall’Africa, impiegati a lavorare nelle campagne della Capitanata, tutti “residenti” nella nota baraccopoli di Borgo Mezzanone, ove insiste un accampamento che ospita circa 2000 persone, che vivono in precarie condizioni igienico-sanitarie e in forte stato di bisogno. Le prolungate, complesse e articolate indagini, coordinate dalla Procura della Repubblica di Foggia e condotte dai militari del Nucleo Operativo e Radiomobile della Compagnia Carabinieri di Manfredonia e da quelli del Nucleo Ispettorato di Foggia, hanno preso le mosse dalla diffusa situazione di illegalità radicata nelle campagne del foggiano, non indifferente ai Carabinieri che quotidianamente svolgono servizi di controllo del territorio in quell’area.

Numerosi furgoni, quasi sempre privi di assicurazione e modificati nelle caratteristiche costruttive per consentirne il trasporto anche di 20/25 persone in luogo delle 9 previste per quel tipo di mezzi, è la situazione che giornalmente ci si trova a vedere passando per le campagne. A bordo di furgoni e autovetture vetuste si vedono giovani braccianti che per guadagnare qualche soldo si prestano a lavorare anche in condizioni di evidente sfruttamento. Servizi di osservazione e pedinamento sono bastati ai Carabinieri per comprendere le dinamiche: i braccianti, quasi tutti africani, venivano prelevati dalla baraccopoli di Borgo Mezzanone e da li, a bordo di precari automezzi, venivano trasportati nelle vicine campagne di Stornara (FG), per poi essere impiegati a lavoro nei campi a ritmi estenuanti, spesso senza i previsti dispositivi di protezione individuale e soggetti a controlli serrati da parte dei caporali.

La chiara fotografia della situazione rappresentata alla Procura della Repubblica di Foggia, che sul fenomeno del Caporalato aveva già fornito direttive precise nel recente passato, ha permesso di avviare l’indagine denominata “Principi e Caporali”, attiva da luglio a ottobre 2020, condotta oltre che attraverso numerosissimi servizi di osservazione, controllo e pedinamento, anche con il fondamentale ausilio delle attività tecniche di intercettazioni telefoniche, grazie alle quali è stato possibile cristallizzare il sistema di selezione e reclutamento della manodopoera messo in piedi dai proprietari delle aziende incriminate, padre e due figli, che avvalendosi di stretti e fidati collaboratori, italiani e non, avevano messo in piedi un apparato “quasi perfetto”, che andava dall’individuazione della forza lavoro necessaria per la lavorazione dei campi, al reclutamento della stessa, fino al sistema di pagamento, risultato palesemente difforme rispetto alla retribuzione stabilita dal CCNL, nonché dalla tabella paga per gli operai agricoli a tempo determinato della provincia di Foggia.

Le buste paga, infatti, sono risultate non veritiere, poiché nelle stesse venivano indicate un numero di giornate lavorative inferiori a quelle realmente prestate dai lavoratori, senza tener conto dei riposi e delle altre giornate di ferie spettanti. I lavoratori, tra l’altro, non venivano neanche sottoposti alla prevista visita medica. Agli indagati, 10 in totale, di cui 2 in carcere, 2 agli arresti domiciliari e 6 sottoposti all’obbligo di presentazione alla p.g., viene contestato –a vario titolo– l’intermediazione illecita e lo sfruttamento del lavoro, di cui all’art. 603 bis del codice penale, recentemente modificato con la legge 199/2016. Tutti i soggetti, S.K., ivoriano di anni 35, K.A. senegalese di anni 31, K.S. guineano di anni 31, quali intermediatori illeciti e reclutatori della forza lavoro, D.P. di anni 66, D.A. di anni 31 e D.R. di anni 40, padre e figli, italiani, titolari delle società agricole, quali utilizzatori della manodopera,   F.M. di anni 30 e F.T.E. di anni 56, italiani, quali gestori delle assunzioni e dei pagamenti dei lavoratori e D.L.A. di anni 44  e M.N. di anni 58, italiani, addetti al controllo sui campi dei braccianti, in concorso, assumevano, utilizzavano o comunque impiegavano manodopera costituita da decine di lavoratori africani, allo scopo di destinarla alla coltivazione di terreni agricoli di proprietà, o comunque nella disponibilità delle suddette imprese e società, sottoponendo i predetti lavoratori a condizioni di sfruttamento e approfittando del loro stato di bisogno derivante dalle condizioni di vita precarie e dalla circostanza che essi dimorano presso baracche e ruderi fatiscenti all’interno della zona denominata “expista” di Borgo Mezzanone, pretendendo dagli stessi anche del denaro sia per il trasporto che per l’assunzione, con l’aggravante di aver commesso il fatto impiegando un numero di lavoratori superiori a tre.

In particolare, gli indagati, in concorso hanno reclutato e impiegato a vario titolo manodopera a basso costo, per destinarla alla coltivazione di terreni agricoli in violazione, in violazione:dei contratti collettivi nazionali, pagando i braccianti circa 4 euro anziché 7; della normativa di settore relativa all’orario di lavoro e ai periodi di riposo, della materia di sicurezza e igiene sul luogo di lavoro, in quanto impiegavano i suddetti lavoratori senza fornire loro dispositivi per la prevenzione degli infortuni (guanti, scarpe, abbigliamento ecc.), necessari allo svolgimento delle mansioni cui venivano adibiti e, anzi, li costringevano, ove necessari, ad acquistarli a loro spese o gli venivano decurtati dalla paga mensile;

Aspetto non meno rilevante, è il controllo serrato cui i braccianti erano sottoposti, attuato dai caporali su istigazioni degli odierni indagati, che altresì comminavano loro anche delle arbitrarie sanzioni disciplinari, prive di ogni garanzia di legge come, ad esempio, sottraendo € 1 di paga dalla retribuzione in quanto risultava errato il conteggio dei cassoni di pomodori raccolti e/o minacciando il licenziamento salvo riparo del danno che involontariamente avevano creato, come ad esempio quando durante i lavori venne danneggiato il lucchetto di una saracinesca per il quale pretesero il pagamento di una somma, o ancora il pagamento di una somma per poter essere inseriti nella lista dei braccianti da assumere e tenere in considerazione per lavori futuri

Contestualmente, in esecuzione della medesima ordinanza, il GIP di Foggia ha disposto il sequestro preventivocomprensivo delle relative sedi operative, dei beni mobili registrati e degli immobili e l’assoggettamento al controllo giudiziariodi 8 (otto) aziende agricole, riconducibili a 3 dei soggetti colpiti da misura cautelare. Il controllo giudiziario dell’azienda, introdotto con la legge 199/2016 ex art. 3, è quell’istituto che in base al quale l’amministratore giudiziario affianca l’imprenditore nella gestione dell’azienda fino alla completa regolarizzazione di tutti i rapporti di lavoro intrattenuti ed alla rimozione di tutte le irregolarità riscontrate. Sarà sempre l’amministratore, poi, ad autorizzare lo svolgimento degli atti di amministrazione utili all’impresa, riferendo al giudice ogni tre mesi, e comunque ogni qualvolta emergano irregolarità circa l’andamento dell’attività aziendale. Tutto questo, nell’ottica del legislatore è imprescindibile percorso da seguire per impedire che si verifichino ulteriori e censurabili situazioni di grave sfruttamento lavorativo.

10 M€ il valore complessivo dei beni sequestrati e 6 M€ il fatturato annuo delle aziende sottoposte a controllo giudiziario. Le complesse ed articolate indagini svolte dai militari del NOR della Compagnia di Manfredonia e da quelli del Nucleo Ispettorato del Lavoro sono state effettuate con il prezioso supporto di personale del progetto SU.PRE.ME, che ha messo a disposizione delle indagini un mediatore culturale, impiegato dai carabinieri nelle attività tecniche di intercettazioni telefoniche quale valido e fondamentale interprete, il cui contributo ha avuto un peso considerevole per il buon esito dell’indagine.

Comunicato Stampa
Carabinieri Foggia

GUARDA QUI IL VIDEO



NESSUN COMMENTO

LASCIA UN COMMENTO