Dal 9 marzo al 3 giugno 2020, in Italia, sono stati registrati 58 omicidi in ambito familiare affettivo: 44 donne, 14 uomini. Il periodo risale al lockdown della prima ondata pandemica di covid-19. Volendo estendere il dato al resto dell’anno ci renderemmo conto di un numero molto più alto. Al momento, su tutto il territorio nazionale sono 60 le donne morte per femminicidio, violenza avvenuta per mano di un familiare o di un uomo che diceva di amarle. “Il lockdown è stato tragico rispetto ad altre situazioni più tranquille – dichiara la dottoressa Francesca Cafarella, coordinatrice del centro antiviolenza Titina Cioffi dell’ambito di Cerignola e dei Cinque Reali Siti – perché bisogna convivere necessariamente con il maltrattante, quindi non c’è via di fuga.”
In questo periodo così complicato anche il territorio del Tavoliere ha assistito a una pagina nera di femminicidio, la cerignolana Nunzia Compierchio, uccisa dall’ex marito. Molte associazioni e centri antiviolenza hanno evidenziato il vertiginoso incremento di abusi e omicidi nei mesi da marzo a giugno. “Durante il lockdown – spiega a Il Megafono la dott.ssa Cafarella – si poteva uscire solo per fare la spesa e alcune donne avevano difficoltà a effettuare colloqui telefonici con il centro antiviolenza perché il maltrattante era quasi sempre vicino. La situazione era abbastanza difficile. Le operatrici quando avevano dinamiche più critiche comunicavano tramite messaggi aspettando sempre il primo segnale da parte della vittima.”
Da gennaio 2020, il centro antiviolenza territoriale ha avviato 16 richieste di ausilio a donne che, nei Cinque Reali Siti e Cerignola, subiscono abusi familiari. Dato in aumento rispetto agli anni precedenti. “Noi veniamo contattati anche tramite la pagina facebook – dichiara la coordinatrice Cafarella – e poi sentiamo le vittime per avviare una presa in carico. A volte chiedono aiuto a noi tramite le forze dell’ordine, il servizio sociale territoriale, dalle associazioni o tramite la nostra sensibilizzazione sul territorio.”
Al momento i dati registrati dal centro antiviolenza non includono i semplici contatti per informazioni, quindi ipotetiche donne che necessiterebbero di aiuto ma che non formalizzano la presa in carico. “Questo avviene – sostiene Cafarella- per la sfiducia nei confronti delle istituzioni, le donne hanno paura di essere abbandonate dopo la denuncia. Quando le vittime sono in situazioni di pericolo, vengono portate in case rifugio, lontane dalle proprie abitazioni e sono costrette a lasciare i propri affetti oppure i figli devono abbandonare i propri amici, cambiare scuola e città. Per le donne, anche questo, diventa un peso per avviare una richiesta di aiuto. Una volta -racconta la coordinatrice- ci siamo recati sul posto di lavoro della vittima perché il maltrattante controllava tutti i movimenti. Abbiamo fatto questa scelta per evitare ripercussioni dal suo uomo. Noi siamo abbastanza flessibili con il nostro lavoro, abbiamo una reperibilità h24.”
A limitare la richiesta di soccorso incombe ancora l’elevato numero di donne senza occupazione. “Una problematica importante – dichiara la dott.ssa Cafarella – è l’autodeterminazione della donna, rendersi autonome. Molte donne non fuggono dalla violenza perché non hanno un lavoro e quindi non sanno come sostenersi. Abbiamo constatato, negli anni, che il problema principale è proprio questo, l’inserimento lavorativo. Una volta che le donne si rendono indipendenti dal punto di vista economico, uscire dalla violenza è molto più facile.” In quest’ottica, l’ambito territoriale ha avviato un progetto per supportare le donne vittime di violenza nella ricerca di un impiego. Discrimination Free ha dato la possibilità, alle donne seguite dal centro, di svolgere un corso per tecnico di cucina in cui c’è stato un riconoscimento orario per la formazione e la possibilità di fare degli stages.”
Nella giornata internazionale contro la violenza sulle donne vogliamo ricordare tutte le vittime che non sono riuscite a fuggire dalle mani del proprio carnefice. In Italia una donna ogni tre giorni muore per femminicidio, tra le mura di casa da chi avrebbe dovuto proteggerle e amarle. Non sottovalutiamo il fenomeno che ha bisogno di una rete di collaborazione molto più ampia, che possa coinvolgere scuole, comuni, associazioni e singoli cittadini.
IL NUMERO TELEFONICO DEL CAV: 342 847 1648
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