“Non è vero che, perché c’è il Reddito di Cittadinanza, nessuno vuole più lavorare “. A smontare il luogo comune più diffuso in questo clima di riaperture e di ripartenze è Sergio Izzi (38 anni, di Carapelle), dall’agosto del 2019 impiegato come navigator per conto di ANPAL Servizi, con competenze sul territorio di Cerignola e dei Cinque Reali Siti. Sergio fa parte dei 3000 facilitatori che sono stati assunti per far incontrare le aziende e i beneficiari che sottoscrivono il Patto per il Lavoro. Laureato in Economia, lavora come docente, ma ha sempre avuto la passione per la formazione, la stessa passione che nel 2019 l’ha portato ad aderire al bando per l’assunzione dei navigator.

In questi due anni Sergio ha avuto modo di conoscere il mercato del lavoro e capire pregi e difetti della misura del Reddito di Cittadinanza, sulla quale ancora oggi la politica si divide. Il suo superamento non è stato mai del tutto scongiurato, ma attualmente sarebbero più di 2,8 milioni le persone che ricevono l’assegno mensile, una misura che senza dubbio che ha stravolto il sistema delle politiche del welfare in Italia. Ma si tratta di una forzatura improntata all’assistenzialismo o una misura necessaria per lenire le sofferenze esarcebate dalla pandemia? Sergio Izzi non ha dubbi. “Non voglio fare l’avvocato difensore del RDC, ma chi pensa che i beneficiari siano dei nullafacenti, che preferiscono ricevere l’assegno piuttosto che andare a lavorare si sbaglia di grosso. La maggior parte degli assegni – spiega Izzi a Il Megafono – si attesta sui 580 Euro di media, a cui vanno sottratti gli importi garantiti per gli affitti o i mutui. Sono persone con un grado di istruzione bassissimo e con un’età già avanzata. In ragione di ciò queste persone si ritrovano con pochi spiccioli in tasca, non è pensabile che preferiscano il reddito al lavoro. Bisogna piuttosto interrogarsi su quanto sia dignitosa l’offerta di lavoro che c’è in giro, in termini di diritti, compensi e ore lavorative”.

Non è tutto oro quel che luccica, chiaramente c’è sempre un rovescio della medaglia. A partire dal fenomeno del lavoro nero in concomitanza con la percezione del sostegno economico, fino ad arrivare ai furbetti che lo percepiscono pur non avendone diritto, magari facendo una vita tra lussi e sfarzi. “Ma se vengono scoperti questi casi vuol dire che i controlli funzionano, non possiamo pensare di rimuovere uno strumento utile, in virtù del fatto che esistano alcuni casi limite. Altrimenti dovremmo rimuovere anche le pensioni di invalidità, per tutti i falsi invalidi che ci sono. Piuttosto bisogna continuare con i controlli per garantire equità”.

Sullo sfondo c’è un contesto, quello della provincia di Foggia, che ha visto aumentare i beneficiari durante la pandemia, ma ha visto anche il grande interessamento delle aziende che lavorano il pomodoro su scala industriale. Sono queste le realtà imprenditoriali che hanno attinto in maniera importante dalle liste di reclutamento dei centri per l’impiego. Alcuni numeri, riportati dal nostro intervistato, testimoniano un certo fermento: “Con un’azienda del territorio ci eravamo accordati per l’assunzione di 400 unità da reperire nei mesi estivi, ebbene – spiega Izzi – siamo riusciti a trovarle in una sola settimana, a testimonianza di quanta buona volontà ci sia da parte dei lavoratori. Potremmo fare molto di più, è vero, ma attualmente siamo soltanto tre navigator per tutto il bacino d’utenza di Cerignola e Cinque Reali Siti che conta oltre 3000 beneficiari”. Poi ci sono i Comuni che, seppur in ritardo rispetto alla tabella di marcia, hanno avviato dei Progetti di Utilità Collettiva (PUC) con ricadute positive sui territori che si esplicano in lavori socialmente utili, dalla gestione degli spazi comuni agli interventi nel verde pubblico.

Le storie belle ci sono e vanno raccontate: “Alcuni percettori, a causa di alcune problematiche di salute, su diposizione dell’INPS, avevano la possibilità di non sottoscrivere il Patto per il Lavoro e percepire comunque l’assegno. Hanno deciso comunque di prendere parte ai progetti di inserimento lavorativo, a testimonianza del fatto che il lavoro sia vita ma soprattutto dignità”. Per il futuro Izzi si augura che anche i detrattori del RDC si convincano dell’efficacia della misura: “Le stesse persone che oggi lo criticano appartengono a quella classe politica che ha letteralmente smantellato il sistema dei centri per l’impiego e che oggi pretende un repentino cambio di passo. Certo, servono delle migliorie a partire dall’interscambio dei dati su scala nazionale tra le piattaforme informatiche, fino ad arrivare alla formazione attiva sulle reali necessità delle aziende; ma con il tempo tante cose potranno essere perfezionate sulla base delle esperienze avute in questi anni”.



NESSUN COMMENTO

LASCIA UN COMMENTO