C’è chi guadagna anche 200 euro al giorno, chi ne chiede 20 a prestazione. C’è chi ha due figli nel suo Paese d’origine e chi è costretta alla strada dal marito. C’è chi prima faceva la badante e chi è sposata con un cittadino italiano. Piccole storie di ordinaria e quotidiana violenza sulle donne che fotografano il drammatico fenomeno dello sfruttamento sessuale e lavorativo nel nostro territorio, che vede impegnati dal 2016 gli operatori della cooperativa sociale Medtraining nel progetto “La Puglia non tratta – Insieme per le vittime”, il cui intervento si svolge nell’area territoriale della Capitanata, che comprende Monti Dauni, Tavoliere delle Puglie e promontorio del Gargano. Sono queste alcuni dei dati di maggiore interesse contenuti nell’ultimo semestre di attività portate avanti nell’ambito dell’iniziativa che punta ad aiutare le vittime di tratta e di sfruttamento lavorativo. Donne e uomini che ogni giorno vengono sfruttati nell’ambito della prostituzione, dello sfruttamento lavorativo o domestico, delle economie illegali, dell’accattonaggio forzato o del traffico di organi.

Le donne dell’Est Europa
Dall’1 luglio al 31 dicembre 2021, dunque, attraverso il lavoro dell’unità mobile di strada gli operatori hanno effettuato 145 contatti, percorrendo in modo particolare i tratti della SS 16 dell’Alto Tavoliere e del Basso Tavoliere, della SS 89 che porta a Manfredonia, della SS 673 Circonvallazione di Foggia. Non solo. Perché le operatrici hanno effettuato uscite ed incontri anche nell’insediamento informale della pista aeroportuale di Borgo Mezzanone in collaborazione con l’organizzazione non governativa Intersos e nell’insediamento informale di Torre Antonacci in agro di San Severo. Le beneficiarie incontrate durante il lavoro dell’unità di strada sono soprattutto donne, provenienti per la maggior parte da Paesi quali Bulgaria (55%) e Romania (28,3%) che rappresentano la percentuale più alta delle beneficiarie contattate. Ma per le strade sono presenti anche donne che arrivano dalla dall’Albania, dalla Repubblica Dominicana, dall’Italia e dalla Nigeria.

La questione Nigeria. Le nigeriane, dunque, continuano ad essere sempre meno presenti lungo le strade. Un fenomeno riscontrato anche in altre zone d’Italia, che ha spinto ad interrogarsi sulle cause di questa presenza sempre più invisibile e dunque meno controllata: «La diminuzione degli sbarchi di donne nigeriane in Italia; lo spostamento verso le cosiddette Connection house, le case di prostituzione sparse in giro per i territori italiani; l’attività esercitata durante il periodo di Covid in indoor, nella case, utilizzando soprattutto i collegamenti su internet; l’editto dell’Oba (Re) Ewuare II, ossia la massima autorità religiosa del popolo Edo (che vive in Nigeria e nella zona del delta del Niger), che nel 2018 ha formulato un editto in cui revoca tutti i riti di giuramento che vincolano con maledizioni terribili le ragazze trafficate. Infine, anche un cambio di Paesi europei in cui si svolge il traffico di donne».Per quanto riguarda i numeri delle donne incontrate, se si prende in considerazione lo stesso periodo di riferimento degli scorsi anni, va registrata una leggera diminuzione. Questo, però, non vuole dire che il fenomeno della tratta e dello sfruttamento lavorativo sia scomparso nel nostro territorio. Anzi. In questo periodo di tempo sospeso a causa dell’emergenza sanitaria dovuta al Covid-19 – che ha rallentato non solo le donne ma anche le operatrici – è diventato ancora più subdolo, più invisibile. Molte delle donne incontrate dagli operatori sulla strada, infatti, hanno raccontato di aver esercitato l’attività prostitutiva all’interno di appartamenti, venendo così meno anche la possibilità di accedere a visite mediche specialistiche e di prevenzione, accompagnamenti sanitari presso le varie strutture, incontri individuali.

Tra accoglienza e protezione. Tra i dati rilevanti in questo semestre, il rafforzamento dell’attività di sportello per donne e uomini potenziali vittime di tratta, con l’attivazione di un presidio a Casa dei Diritti di Siponto ed uno a Foggia nella sede di Medtraining. Preziosi anche gli spazi di incontro per la promozione della tutela dei diritti e per l’ascolto delle potenziali vittime, presenti in diversi punti della città di Foggia, ed il protocollo d’intesa siglato con la Commissione Territoriale per il Riconoscimento dello status di rifugiato politico di Borgo Mezzanone e la collaborazione con le Commissioni sparse per l’Italia. Ancora: 8 beneficiarie che vivono e risiedono in accoglienza protetta grazie al progetto, che in questi mesi ha anche effettuato accompagnamenti sanitari, counselling psicologico, disbrigo delle pratiche amministrative e tanto altro. «La pratica dell’accoglienza si sta declinando non soltanto nella cosiddetta ospitalità abitativa, ma anche nel consolidamento della rete con i soggetti partner, pubblici e privati, che erogano servizi di orientamento, mediazione ed assistenza sanitaria, consulenza, diffondendo altresì nella comunità locale la cultura della legalità e della tutela dei diritti inviolabili della persona» dicono le operatrici della cooperativa sociale Medtraining.

Il progetto regionale. Il progetto “La Puglia non tratta – Insieme per le vittime”, giunto ormai alla quarta annualità, è nato a livello regionale con l’obiettivo di assicurare alle persone vittime di tratta adeguate condizioni di alloggio, vitto, assistenza, protezione ed integrazione socio – lavorativa. L’iniziativa – finanziata dal Dipartimento delle Pari Opportunità della Presidenza del Consiglio dei Ministri – è promossa dalla Regione Puglia – Sezione Sicurezza del Cittadino, Politiche per le Migrazioni ed Antimafia Sociale – in collaborazione con sette enti anti tratta del territorio regionale: le cooperative sociali Medtraining (Foggia), Comunità Oasi2 San Francesco onlus (Trani), Atuttotenda (Maglie-Lecce), CAPS (Bari); le associazioni Giraffa! (Bari), Micaela (Adelfia-Bari), Comunità Papa Giovanni XXIII (Brindisi). 

Comunicato Stampa



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