“Noi siamo un paese senza memoria. Il che equivale a dire senza storia. L’Italia rimuove il suo passato prossimo, lo perde nell’oblio dell’etere televisivo, ne tiene solo i ricordi, i frammenti che potrebbero farle comodo per le sue contorsioni, per le sue conversioni”. Questo diceva Pierpaolo Pasolini a proposito della memoria del nostro Paese; l’Italia è un paese che dimentica facilmente il suo passato e a causa di ciò non riesce a ricordare quali sono le sue origini, qual è realmente la sua storia, quella storia da cui dovrebbe prendere esempio.
Molto probabilmente è questo lo spunto di riflessione che dovremmo fare in occasione del sessantunesimo anniversario dalla morte di Giuseppe Di Vittorio. In questi ultimi mesi ho girovagato un po’ all’interno di alcune scuole presenti nel nostro territorio, in virtù soprattutto di iniziative culturali, e in ogni incontro ho sempre posto la seguente domanda: “Sapete chi è Giuseppe Di Vittorio?” La stragrande maggioranza dei ragazzi ha sempre risposto di no. Eppure questo dovrebbe farci seriamente riflettere in quanto Di Vittorio rappresenta una delle storie più belle del nostro territorio; e non a caso è diventato un punto di riferimento a livello nazionale e internazionale.
Ogni volta che mi sono trovato fuori dai confini ortesi e alla domanda: “Dove sei nato?” rispondendo “a Cerignola ma vivo ad Orta Nova” la reazione immediata è sempre stata: “Ma dai? La terra di Di Vittorio!”. Ebbene sono episodi che mi hanno portato a far capire di come gli altri, dall’esterno, sappiano realmente da dove veniamo; mentre noi non sappiamo dove ci troviamo e non riusciamo a riconoscere la bellezza che ci circonda. Basti pensare che ad Orta Nova nella nota masseria “Cirillo” vi è un cippo che indica il primo luogo in cui Di Vittorio ha lavorato. La cosa che addolora tanto è che quel cippo è rotto, e nonostante siano evidenti le condizioni in cui versa, nessuno riesca a degnarsi di aggiustarlo. Magari molti non sanno neanche cosa sia. Menomale che a qualcuno è venuta l’idea di intitolare un’altra stele, all’interno della contrada rurale, allo stesso sindacalista cerignolano.
Il giovane scrittore ortese, Francesco Gasbarro, nel suo ultimo libro “La terra dei giganti” arriva ad evidenziare di come determinate opere nel nostro paese abbiano totalmente tolto visibilità a quanto di più bello ci sia nella nostra comunità. E in virtù di questo, tra i vari passaggi, indica proprio la situazione relativa al cippo di Giuseppe Di Vittorio: in quella strada continuamente passano camion per portare pale eoliche da piantare, e nessuno riesce ad accorgersi della situazione di quel cippo che per noi dovrebbe rappresentare grande orgoglio. Questo ci fa capire di come non riusciamo a riconoscere la bellezza e proprio per questo motivo non sappiamo preservarla.
Ma è ovvio che un altro spunto di riflessione non può che essere relativo alle condizioni di lavoro vigenti. E’ incredibile che nella terra di quel bambino che, a 8 anni decise di vendersi le scarpe per acquistare un abecedario per imparare a leggere e a scrivere, in quanto aveva capito fin da subito che l’emancipazione dei lavoratori non poteva che passare attraverso la cultura, ci sia ancora sfruttamento; si continui ancora a parlare di caporalato. Si continui ancora a morire di lavoro, di fatica, all’interno delle nostre campagne; si continui a perpetrare lavoro nero senza che nessuno arrivi ad indignarsi più di tanto. E’ anche per questa ragione che, ancora una volta, la memoria deve tornarci utile. Se le condizioni di lavoro sono rimaste come descritte poc’anzi, significa che ci siamo realmente dimenticati di Di Vittorio. Questa figura deve tornare ad essere presente nelle nostre battaglie quotidiane, altrimenti seriamente non riusciremo più a ricordarci chi siamo e da dove veniamo. E un Paese senza memoria non può avere né un presente né un futuro.