Diffondiamo integralmente l’omelia del Vescovo Monsignor Luigi Renna in occasione della solennità della Madonna di Ripalta, festa patronale della città di Cerignola.
Il nostro tempo, che sta coraggiosamente e, a tratti, faticosamente uscendo da una pandemia che ad oggi conta circa quattro milioni e cinquecentomila vittime in tutto il mondo, si può ben identificare con quella festa di nozze in cui Gesù compì il primo segno della salvezza a Cana. Fu un banchetto in cui venne a mancare qualcosa di essenziale, il vino che, simbolo dei beni messianici, solo il Signore potrà restituire, non come il primo, ma migliore. Anche noi, in questo tempo, ci accorgiamo che ci manca ciò che ci fa intravedere un futuro sereno; anche la nostra umanità cerca nuove soluzioni per una vita pacifica e dignitosa per tutti. Come gli apostoli erano tutti sulla stessa barca sul lago in tempesta, noi tutti siamo come a questa festa di nozze dove viene a mancare il vino di una gioia piena. Stupisce in quel brano dell’evangelista Giovanni, che la prima a segnalare questo ammanco di gioia e di festa sia Maria di Nazareth e non, ad esempio, il maestro di tavola, che avrebbe dovuto badare al buon andamento del banchetto. Anche noi possiamo identificarci con questo “architriclinio” quando non riusciamo a vigilare sul bene di tutti, quando ci lasciamo prendere dalla rassegnazione e rimaniamo segnati dalle difficoltà. Maria ci insegna un altro stile di vita: è come una sentinella attenta alla gioia di quegli sposi che, nella ricca simbologia del Quarto Vangelo, rappresentano l’umanità amata dal Suo Creatore e Padre.
Dante, di cui quest’anno celebriamo il VII centenario della morte e i cui studi la nostra città di Cerignola dovrebbe coltivare, avendo dato i natali al grande dantista Nicola Zingarelli, nella cantica del Purgatorio, presenta l’icona di Maria come modello per la purificazione degli invidiosi, coloro che nella vita hanno voluto la distruzione degli altri e hanno anche annientato sé stessi in un mare di bile. Essi subiscono la pena del contrappasso: quella di non poter vedere perché hanno gli occhi cuciti, proprio loro che hanno usato lo sguardo solo per sindacare, invidiare la roba e condizione altrui; a loro viene ripetuta la frase evangelica “Vinum non habent – Non hanno più vino” (cf. Dante, Purgatorio, XIII, 28-30). Dante sembra dirci che questo nostro mondo, chiuso nella cappa dell’individualismo e di una invidia distruttiva, potrà ritrovare la sua umanità quando si farà carico fraternamente dei problemi degli altri, delle tavole vuote di chi è privo di pane, di dignità, di futuro. Basterebbe questa premura materna ad insegnarci la sequela del Signore e a farci essere quella Chiesa somigliante a Maria di cui papa Francesco scrive nella enciclica Fratelli tutti: “E come Maria, la Madre di Gesù, ‘vogliamo essere una Chiesa che serve, che esce di casa, che esce dai suoi templi, dalle sue sacrestie, per accompagnare la vita, sostenere la speranza, essere segno di unità’” (FT, 276).
Come faremo questo? Sembra che l’urgenza del momento, con la consultazione elettorale, offra una modalità con cui la Chiesa può vivere questa missione. Ma occorre ricordare la lezione grande del magistero della Chiesa, del Concilio Vaticano II, anzitutto, che nella Gaudium et spes afferma: “Dai sacerdoti i laici si aspettino luce e forza spirituale. I laici non pensino però che i loro pastori siano sempre esperti a tal punto che, ad ogni nuovo problema che sorge, anche a quelli gravi, essi possano avere pronta una soluzione concreta, o che proprio a questo li chiami la loro missione; assumano invece essi, piuttosto, la propria responsabilità, alla luce della sapienza cristiana e facendo attenzione rispettosa alla dottrina del Magistero” (GS, 43). In parole povere, dai pastori della Chiesa non può venire l’indicazione per un voto, ma “luce e forza spirituale” sui valori. Già questo nella nostra Diocesi si è cercato di metterlo in atto negli ultimi anni, con l’istituzione di una scuola di formazione all’impegno socio-politico, che ovviamente non è stata una scuola di partito; con la celebrazione delle Settimane Sociali diocesane, su temi svariati che sono andati dalla cultura della legalità alla tutela dell’ambiente; con l’importanza data ad alcune Giornate nelle quali si prega, si vive la solidarietà, si medita su un messaggio di natura sociale: sono le giornate dei Migranti, quella della Salvaguardia del creato, quella dei Poveri.
E poiché le lezioni vanno accompagnate dagli esempi, quanta carità nelle parrocchie, nel volontariato, in luoghi ormai divenuti punti di riferimento per gli immigrati, per i senza fissa dimora, per i ragazzi che rischiano l’evasione scolastica! E cosa dire dell’ospitalità data dai salesiani per mesi nell’oratorio, per far sì che tutta la città e anche le città vicine potessero accedere ai vaccini, con una grande disponibilità di dirigenti della ASL e medici? Quanti sforzi per formare le coscienze ad essere Chiesa che accompagna la vita, sostiene la speranza, è segno di unità.
Sappiamo che formare le coscienze è lavoro più duro e più diuturno che pensare a un programma di partito. Per questo, sento di dire in questo momento a coloro che sono candidati: non rinunciate quando porterete a casa il risultato elettorale, qualunque esso sia, ad essere uomini e donne della polis; non siatelo solo nell’arco di quaranta giorni di campagna elettorale, ma d’ora in poi, sempre. Se non farete questo, rischierete di essere degli improvvisatori di uno spettacolo, non degli interpreti che entrano in un ruolo così delicato.
“Assumano le proprie responsabilità alla luce della sapienza cristiana”: questo la Chiesa dice ai laici. E sa benissimo che ci possono essere svariate opzioni di impegno politico e che la Dottrina sociale della Chiesa nel suo Compendio afferma: “Le istanze della fede cristiana difficilmente sono rintracciabili in un’unica collocazione politica: pretendere che un partito o uno schieramento politico corrispondano completamente alle esigenze della fede e della vita cristiana ingenera equivoci pericolosi. Il cristiano non può trovare un partito pienamente rispondente alle esigenze etiche che nascono dalla fede e dall’appartenenza alla Chiesa” (CDSC, 573). Cosa significa, allora: che un cristiano non deve impegnarsi in politica se non c’è un partito che non risponde pienamente alla sua visione etica, che va dalla tutela dell’embrione e del malato terminale a quella dei diritti dei lavoratori, degli immigrati, dei poveri? No, rinunciare a questo impegno significherebbe rinunciare a testimoniare il Vangelo nel mondo. Il Compendio prosegue: “La sua adesione a uno schieramento politico non sarà mai ideologica, ma sempre critica, affinché il partito e il suo progetto politico siano stimolati a realizzare forme sempre più attente a ottenere il vero bene comune, ivi compreso il fine spirituale dell’uomo” (CDSC, 573).
Quindi un cristiano milita in un partito, ma non rinuncia ai suoi valori di credente; sa essere critico quando essi sono disattesi; sa prendere le distanze davanti a scelte discutibili e sa cercare di orientare il tutto al bene comune. È un compito grande che richiede una coscienza sempre attenta e premurosa verso il bene. Questo compito è particolarmente gravoso nel nostro tempo e nel nostro territorio, vessato dai tentativi della mafia di “riciclare” il suo denaro nelle attività economiche di ogni tipo. Ho già dato un messaggio alla città in vista delle elezioni, volutamente in giorni che erano lontani da quelli in cui ormai la campagna elettorale incalza, per cui non aggiungo nient’altro.
Vogliamo imparare da Maria ad avere uno sguardo attento e premuroso verso gli altri per accompagnare la vita, ci dice il Papa: la vita che nasce, e che ha dignità fin dal suo concepimento; la vita dei ragazzi, che inizieranno un nuovo anno scolastico in cui genitori, scuola e Chiesa dovranno reinventarsi relazioni personali e metodi educativi, dopo un lungo periodo di didattica a distanza; accompagnare la vita di ragazzi che vediamo molto spesso sbandati e senza figure di riferimento, in strade periferiche e del centro, in cui il monito al rispetto delle leggi, dell’anziano passante, del disabile, non c’è più; accompagnare la vita dei lavoratori che ricevono magri stipendi in ditte e aziende agricole; dei poveri delle nostre mense; accompagnare la vita dei malati terminali non con il suicidio assistito, ma con le cure palliative che sostengono nel dolore umanamente. Chiediamoci: stiamo, come Maria, accompagnando la vita?
Come Maria sosteniamo la speranza. Gesù le disse: “Che c’è tra me e te, o Donna? Non è ancora giunta la mia ora” (Gv 2,4). In questo modo il Signore Gesù le affidava il compito non più di Madre Sua, ma di Madre di tutti i suoi discepoli, che avrebbe espresso tutta la sua carità nell’ora del Calvario. E Maria cominciò a sostenere la speranza dei servi, dicendo: “Qualsiasi cosa vi dirà, fatela” (Gv 2,5). Quando ci affidiamo alle parole del Vangelo, noi andiamo oltre le nostre beghe, le nostre paure, le nostre visioni ristrette, le nostre strategie di equilibrismi. Non è una vaga speranza quella che indica Maria, ma la fiducia nel Vangelo, quello dei Comandamenti dell’Amore e delle Beatitudini. “Qualsiasi cosa vi dirà, fatela”. Accogliamo queste parole per sostenere la speranza a partire dalle nostre coscienze.
Essere segno di unità: Maria unisce quella famiglia che si stava disperdendo attorno alla mensa di una festa che stava finendo male. Raduna anche noi, con visioni diverse, forse anche persone diversamente o per nulla credenti, raduna tutti i cerignolani nel giorno della sua festa. E ci insegna che c’è qualcosa di più grande della nostra visione parziale, della nostra appartenenza politica, persino della nostra appartenenza di fede. C’è la fraternità. È un concetto presente in tante culture, insieme all’eguaglianza e alla libertà. Ma per il cristiano è più importante di tutto la fraternità, come dice papa Francesco, perché dà senso alla stessa libertà e all’uguaglianza: “Neppure l’uguaglianza si ottiene definendo in astratto che ‘tutti gli esseri umani sono uguali’, bensì è il risultato della coltivazione consapevole e pedagogica della fraternità. Coloro che sono capaci solamente di essere soci creano mondi chiusi. Che senso può avere in questo schema la persona che non appartiene alla cerchia dei soci e arriva sognando una vita migliore per sé e per la sua famiglia?” (FT, 103).nEcco, per noi non è importante essere soci, ma essere fratelli, e tali siamo come figli di un unico Padre. Maria Santissima di Ripalta tenga uniti come fratelli questi suoi figli nella città, nelle borgate, nelle campagne, nelle varie attività, nelle diverse visioni politiche. Perché più grande di ogni cosa è la carità.
Comunicato Stampa
Diocesi Cerignola – Ascoli Satriano