Quanto può valere un piccolo pezzo di metallo o di cuoio all’apparenza insignificante? Esso può riportare a una persona, a un sistema di valori e di relazioni che a noi oggi possono sembrare lontani. Può significare tantissimo per quanti vi sono legati. Si tratta dei piastrini di riconoscimento indossati dai soldati che combatterono durante la seconda guerra mondiale. E’ davvero triste e squallido osservare quanti ne vengano messi in vendita online da avidi cercatori di reperti speranzosi di ricavarne pochi euro. Fin dalla sua nascita, invece, l’associazione Salerno 1943 ha sempre avuto fra gli obiettivi statutari restituire gratuitamente ai familiari dei militari impiegati in Italia gli oggetti personali rinvenuti sul campo di battaglia o in altri modi.
Tramite il socio Gerardo Capuano, l’associazione Salerno 1943 è entrata in contatto con Paolo Masucci ed i suoi due figli Vincenzo e Alessandro. I Masucci abitano a Bovino, un piccolo comune in provincia di Foggia situato nei pressi della valle del Cervaro, località in cui la famiglia coltiva dei terreni. Alcuni anni fa, proprio da uno di questi fondi, nel mezzo del più classico degli interventi manutentivi, emerse un piastrino in acciaio dell’esercito americano. Oltre al nome, Donald Hiram Schuler, vi era stampigliato il numero di matricola 16093043, il gruppo sanguigno (A), la vaccinazione antitetanica per il 1944 (T44) e la religione cattolica (C). In un primo momento, non fu dato molto peso al ritrovamento. Soltanto negli scorsi mesi Alessandro, parlandone con il nostro Gerardo, ha affidato all’associazione l’arduo compito di ricostruire la storia che vi era dietro.
Dopo aver ottenuto il consenso dai Masucci, Salerno 1943 ha così iniziato una lunga e complicata ricerca. Tramite il sito Treasure.net ed il prezioso aiuto di alcuni utenti, in primis Alan Price, è stato possibile scoprire che il proprietario del piastrino non era più in vita. La data del decesso, tuttavia, risultava essere ben lontana dagli anni del secondo conflitto mondiale: questa notizia ci ha fatto, fin da subito, sperare che Donald, una volta terminato il conflitto, fosse tornato a casa ed avesse, con buona probabilità, messo su famiglia. Perorando questa strada e ricercando maggiori informazioni in merito alla sua famiglia siamo riusciti ad individuare i nominativi dei suoi figli riuscendo nell’intento di metterci in contatto con due di questi, Paul e Mike. La reazione della famiglia statunitense è stata facile da prevedere: stupore, felicità e volontà di riaprire i vecchi ed impolverati diari del padre per raccontare la sua storia. E’ stato così che, quel piccolo pezzo di metallo ritrovato nella valle del Cervaro, ci ha permesso di costruire la storia del suo proprietario.
Siamo venuti a conoscenza che Don nacque nel 1923. Frequentò la Wauwatosa High School dove ottenne tre medaglie nelle attività sportive. Si arruolò poi nell’Aeronautica il 14 settembre del 1942 e venne assegnato alla 15th Air Force. Dopo aver conseguito il necessario addestramento, partì da Palm Beach in Florida per l’isola di Trinidad, quindi per il Brasile arrivando, infine, in Africa, nei pressi di Dakar. Da lì fece tappa prima in Marocco e poi in Tunisia arrivando quindi in Italia, a Manduria, il 31 marzo del 1944. Entrò a far parte, probabilmente come mitragliere, del 726th Bombardment Squadron del 451st Bombardment Group. Il suo squadrone volava sui quadrimotori B-24 Liberator e fu dislocato per un breve lasso di tempo a San Pancrazio e, successivamente, nei pressi dell’aeroporto di Castelluccio dei Sauri.
Dalle pagine del diario redatto durante il servizio in Italia apprendiamo che prese parte in pochi mesi a numerose missioni di bombardamento su Marsiglia, Alessandria, Parma, Faenza, Piombino, Bologna, Orbetello, Rimini, Venezia e Monaco. Gli obiettivi erano snodi ferroviari, installazioni portuali e fabbriche per la costruzione di aerei Messerschmitt 109. A maggio prese parte a un paio di incursioni sulle raffinerie di Ploiesti in Romania. Nella seconda il suo velivolo perse due dei quattro motori e il pilota diede l’ordine all’equipaggio di indossare i paracadute e prepararsi ad abbandonare l’aereo. Quando poi si rese conto che era in vista del mar Adriatico optò per tentare il ritorno alla base dando l’ordine di liberarsi di tutto il materiale superfluo. Fu così che mitragliatrici, piastre antiproiettili e altro equipaggiamento venne gettato dal B-24 che riuscì fortunosamente a rientrare alla base.
Le informazioni annotate da Donald riportano le difficoltà incontrate durante le missioni di volo, i compagni visti cadere con i paracadute nel mare freddo e burrascoso, la tristezza provata nel veder precipitare l’aereo sul quale vi erano degli amici a bordo, la necessità di reagire per salvare la pelle. Da qui traspaiono i pensieri di un ventenne catapultato negli orrori della guerra. Scrivendo di una missione in cui aveva fronteggiato una contraerea ed in cui era stato inseguito dai caccia nemici, conclude il suo pensiero con un perentorio “pessimo modo per guadagnarsi da vivere”. Singolare, ma non inaspettato, il suo ricordo al termine del periodo di convalescenza a Capri e la successiva licenza in quel di Napoli. Il suo “che città” è il più classico degli inni alla vita. Ed invece Don, insieme a tutti i soldati impiegati sul fronte, lottava per non morire. Giorno dopo giorno.
Il 10 giugno del 1944, a causa dell’influenza, fu ricoverato in ospedale e non potè partecipare all’ennesima missione. Quel giorno, il B-24 con cui era solito volare fu colpito e costretto ad ammarare nell’Adriatico. Nel suo diario scrisse: “Anderson è annegato; Flint è stato schiacciato dalla torretta dorsale; Mac, Longie e Pete sono venuti fuori incolumi; Sam e Herb hanno subito dei tagli; MacDowell e Wyatt hanno avuto le gambe rotte. La fortuna di Schuler ha prevalso”.
Il 16 luglio Don fu informato che la guerra per lui era finita. Il suo “nessun reclamo” annotato, quel giorno, sul diario è la più vivida dimostrazione di quanto, quel momento, era stato sperato, sognato, inseguito. E’ anche la dimostrazione di quanto, tanti ragazzi impiegati al fronte, desiderassero tornare alle proprie famiglie. Dopo un periodo di convalescenza a Nashville, fu assegnato a una base dell’aviazione a Reno dove probabilmente terminò il suo servizio militare. Ritornato alla vita civile sposò Alice dalla quale ebbe 7 figli. Lavorò per 50 anni presso la Westinghouse. Nel tempo libero amava giocare a golf. Donald è venuto a mancare il 13 dicembre del 2011 all’età di 88 anni.
Se Don fece ritorno a casa perché, allora, il suo piastrino è stato ritrovato? E’ verosimile che Donald Schuler perse il suo piastrino durante la permanenza a Castelluccio dei Sauri. In quella zona, l’aviazione statunitense aveva allestito una base con una pista di atterraggio. Gli aviatori e gli uomini impiegati presso la struttura alloggiavano in tende piantate nei terreni agricoli come dimostrano anche le foto inviateci dai figli. Non sappiamo se Don, proprio in uno di questi campi, perse il suo piastrino o se lo sotterrò volontariamente affinchè, a distanza di decenni, la sua storia potesse poi essere raccontata. Quel che sappiamo è che, nel diario, non annotò la perdita.
Dopo aver preso contatto con la famiglia dell’aviatore statunitense, Salerno 1943 si è recata in provincia di Foggia. Il piastrino donato in maniera disinteressata dalla famiglia Masucci è stato da noi confezionato e spedito con raccomandata a Saint Petersburg in Florida. La famiglia, commossa nel ricevere il piccolo pezzo di acciaio, ha espresso nei confronti della nostra Associazione e della famiglia Masucci la più grande riconoscenza. Il fortuito ritrovamento e la ricostruzione della sua storia ci consentono, specialmente in questo particolare momento storico, di riflettere sui dolori della guerra. E’ l’intento di tutti. Forse era anche quello di Donald.
Contributo esterno a cura di Matteo Pierro