Le mani indurite da decenni di lavoro nei campi sono il segno tangibile di continuità tra ciò che è stato e ciò che è adesso. Non fa sconti a nessuno, neanche a sé stesso, Leonardo Scagliozzi, quando parla del passato e della sua più grande passione: il sito archeologico di Herdonia. Nardino – così come lo chiamano tutti in paese – per circa trentanni è stato un abile “tombarolo” delle collinette che circondano Ordona, il piccolo centro dei Cinque Reali Siti, dove sorge la nota zona di interesse storico – culturale, ancora nel mezzo di una lunga querelle burocratica tra le progettualità ministeriali e l’interesse del privato. Lui, “ordonese doc” – come ci tiene a precisare – giunto alla soglia dei sessantasette anni, ha quella maturità tale da poter analizzare con il giusto “distacco” tutte le sue avventure sulle tracce di reperti di origine preromana o di matrice tardoantica. Un modo per ripercorrere le antiche tradizioni della sua famiglia, ma anche per risalire alle origini di un intero territorio, le cui bellezze, per un certo senso, restano ancora inespresse. Queste sono state le convinzioni di fondo che hanno mosso le sonde di Nardino, per anni e anni.
Un’abilità tramandata. Siamo negli anni ’30, a cavallo tra i due conflitti mondiali. Il professor Joseph Mertens e la sua troupe di accademici belgi, dovevano ancora svolgere le loro ricerche e i loro scavi sul sito di Herdonia, ma il nonno di Nardino era già stato molto lungimirante. “A quei tempi – ci racconta Nardino – i campi si aravano con i cavalli e di conseguenza l’aratura non era molto profonda. Per questo, quando pioveva, alcune zolle conservavano una colorazione più chiara rispetto a quella del terreno circostante e per mio nonno era molto facile capire in quale zona operare. Con un bastone di legno, riusciva ad appurare se a non molti metri di profondità si trovasse del materiale argilloso o di ceramica. Dopo aver sondato il terreno, iniziava a scavare con alcune attrezzature rudimentali. Inoltre, dato che all’epoca nessuno si era interessato ancora al sito, vi era una possibilità altissima di reperire oggetti di valore, che da mio nonno stesso venivano trasportati sul carretto verso il Museo di Foggia, per ottenere una ricompensa”. Per la sua minuziosa attività, ai tempi considerata meritoria, il nonno di Nardino ricevette anche una targa presso il Museo di Napoli dove insignito del titolo di “Cavaliere delle Tombe”. Un’abilità e una passione che si sono tramandati per tre generazioni, in quanto anche il padre di Nardino, ha proseguito poi sul solco tracciato dal nonno. A 7 anni, il giovane ordonese, era già affianco del padre in qualità di assistente nelle escursioni in agro di Ordona. E proprio da lui ne ha appreso la tecnica e i trucchi del mestiere.
I tesori ritrovati. “Ho iniziato a scavare per esigenza” – ci racconta Nardino, ripercorrendo a ritroso la sua storia personale. “A 17 anni misi su famiglia e sul finire degli anni ’60 era ancora molto difficile riuscire ad ottenere un lavoro stabile e redditizio da queste parti”. Per questo decisi di dar seguito a quella che era innanzitutto una mia passione e che, a quei tempi, mi concedeva ancora dei margini di guadagno importanti. Nel corso della mia trentennale attività di tombarolo, ho riportato alla luce centinaia di migliaia di reperti di valore che poi rivendevo ad alcuni commercianti che frequentavano la zona. Tra le testimonianze più importanti che ho trovato, ricordo con emozione uno straordinario elmo di un guerriero dauno, rinvenuto ancora intatto in ogni suo particolare, con all’interno ancora un rivestimento in pelle di maiale. Inoltre, non potrò mai dimenticare quando feci emergere un carillon dell’antichità, un singolare marchingegno rotante con alcune statuine di soldati a cavallo posizionate sull’estremità del basamento circolare. Doveva trattarsi sicuramente di un giocattolo per bambini. Di una certa particolarità e pregio fu anche un cratere decorato con temi pornografici, che trovai sul finire degli anni ’70, sul quale vi erano raffigurati due uomini nudi che si contendevano una donna. Su alcune situle rinvenute durante i miei scavi ho anche reperito delle raffigurazioni che richiamavano i grifoni conservati ad Ascoli Satriano”.
Il mercato “nero”. “Sapevo che con la mia attività – ci spiega Nardino – stavo danneggiando il mio territorio, ma in quel periodo tante cose erano diverse e la gente moriva di fame”. L’ex tombarolo che non si è pentito, racconta che i suoi tesori, una volta giunti nelle mai dei faccendieri di zona, fruttavano anche oltre 200 mila lire al pezzo, che all’epoca erano decisamente un bel guadagno. “Con i proventi dei miei ritrovamenti riuscivo tranquillamente a far campare la famiglia – racconta – ma allora chi si arricchiva in maniera significativa erano soprattutto coloro che smerciavano gli oggetti reperiti dai tombaroli. Queste persone portavano tutti i reperti in Belgio e da quei mercati ottenevano laute ricompense”. Dalla ricostruzione fatta dall’uomo di mondo di Ordona ne esce un quadro decisamente mutato nei primi anni ’90. Il terremoto di “Mani Pulite”, da quanto racconta a L’Attacco, aveva infranto anche quel sistema di compravendita abusiva dei reperti e da allora anche le singole piazze di smercio si avviarono verso un lento declino. “Da quel momento il mercato si è ridimensionato – ci spiega Nardino – e per quanto riguarda il sito di Herdonia tutte le straordinarie testimonianze più in superficie e recuperabili soltanto con la forza lavoro di pochi uomini, si erano già esaurite. Mentre il fenomeno dei tombaroli si è ridotto a sporadiche ed isolate attività, tante sono ancora – ne è sicuro Nardino – le meraviglie che si trovano più in profondità e che solo una sistematica programmazione di scavi potrà far riemergere, soprattutto per ciò che riguarda il complesso delle Necropoli”. Ad Herdonia fino ad oggi si è scavato per soli 2ha, ne restano altri 20ha tutti da scoprire, per ciò che ne resta.
L’appello alle Istituzioni. La stampa più volte si è interessata alla singolare storia di Leonardo, anche perché, come detto, egli non ha mai rimosso totalmente questa pagina della sua vita, anche a tratti poco “trasparente” ma pur sempre affascinante. Negli anni ’70, nel pieno della sua attività abusiva, Nardino da un’emittente locale lanciò una provocazione alla Sovrintendenza dei Beni Culturali e al Ministero, la quale non ebbe mai una risposta. “Per evitare che i reperti rinvenuti finissero in mani straniere – ha raccontato Nardino – avrebbero potuto pagare loro al posto dei trafficanti dei simbolici premi di rinvenimento ai tombaroli. Adesso avremmo ancora un grande tesoro conservato nella nostra terra. Ma più volte mi è capitato di assistere a situazioni poco chiare anche ad opera delle autorità preposte alla conservazione dei beni. Durante alcuni studi emersero delle sacchette di monete antiche che, una volta giunte nei poli museali, risultarono ridotte numericamente. E la stessa cosa è successa in molte altre occasioni. Oggi, giustamente, il fenomeno delle ricerche abusive viene condannato e punito, ma ci sono molti circuiti considerati ‘autorizzati’ che invece continuano a disperdere le ricchezze dei parchi archeologici locali”.
La seconda vita. Mentre ci mostra con sdegno la cavità formatasi in seguito all’asportazione di una parte del selciato della via Traiana, perpetrata da ignoti predoni di recente, il signor Leonardo ci fa entrare in quella che è la sua vita attuale, la sua seconda esistenza pur sempre legata al medesimo sito archeologico che in ogni anfratto conserva anche dei ricordi della sua infanzia. Oggi Nardino è il vicepresidente dell’associazione Movimento Cittadini di Ordona, una Onlus di volontariato formatasi in seguito allo scandalo “Black Land” e che oggi si occupa della salvaguardia della zona archeologica all’interno della tenuta Cacciaguerra. Ogni domenica, alcuni volontari, tra cui Nardino, si incontrano per ripulire l’area dalle erbacce e per organizzare eventi di valorizzazione del sito, ovviando agli annosi ritardi per le pratiche di esproprio e per la predisposizione di un’area protetta e salvaguardata. “Nessuno come me conosce queste rovine – ci racconta Nardino – e lo dico con tutta umiltà. Mi auguro che in breve tempo quest’area possa ritornare a mostrare il suo splendore e magari, quando riprenderanno (se riprenderanno) gli scavi, vorrei anche io far parte della spedizione che si prenderà cura dei lavori, mettendo a disposizione le mie conoscenze e la mia esperienza. Io non ho di certo studiato archeologia, ma ho amato l’archeologia per tutta la mia vita.”.