L’amore, quello senza le sovrastrutture imposte dalla società, si sublima nell’affetto indiscriminato che tanti genitori rivolgono a figli con malattie genetiche inguaribili o handicap motori per i quali, oggi, si è ancora etichettati come “diversi”. Dalle colonne de Il Megafono, abbiamo provato ad entrare all’interno di quegli stessi nuclei familiari e quelle classi che annoverano la presenza di bambini e bambine “diversamente abili”, per comprenderne i disagi quotidiani, le difficoltà relazionali e le preoccupazioni future. Il compito, arduo ma deontologicamente e giornalisticamente rilevante, ha preso le mosse dalla valutazione dei percorsi scolastici che contraddistinguono marcatamente i piccoli centri della provincia di Foggia.

2017-02-16-PHOTO-00004009“In questo senso ci sarebbe ancora molto da fare” – spiega Giuditta Martino, insegnante di sostegno presso l’Istituto Comprensivo “Aldo Moro” di Stornarella. Giuditta, dopo 20 anni di onorata carriera al fianco degli alunni con necessità di sostegno, avrebbe avuto la possibilità di ottenere una cattedra tutta per sé, eppure ha rifiutato, in quanto il suo percorso conoscitivo sulle diversità è divenuto, strada facendo, una vera e propria vocazione. Per questa singolare decisione, l’insegnante stornarellese oggi risulta essere un vero e proprio punto di riferimento nella piccola comunità locale, nonché una memoria storica sul gradiente d’apertura della società dei cosiddetti “normali”.

“I ragazzi che assisto – spiega la Martino – sono molto più sensibili di tutti gli altri. Riescono a cogliere anche le sfumature, gli sguardi mancati e le omissioni. Questi sono gli aspetti che più fanno soffrire, perché in fondo costoro hanno le stesse necessità di tutti gli altri”.

E non ci sono classifiche di diversità che tengano. Anche un piccolo disturbo può creare esclusione all’interno di una classe di ragazzini delle elementari, anche se le normative scolastiche oggi impongono che gli alunni disabili prendano parte alle lezioni curricolari assieme al resto della classe. Ma spesso risulta essere una forzatura piuttosto improduttiva. Nessuno che viene a chiederti i colori, un mancato invito ad un compleanno, un gioco anche sciocco, nel quale non si è coinvolti. Tutte situazioni queste, che scavano dei solchi profondi, spesso incolmabili.

“La scuola in questo senso fa tanto – spiega la Martino – ma spesso non è sufficiente. Ribaltare il paradigma ‘riabilitare per poi inserire’  in ‘inserire per riabilitare’ è stato un passaggio lodevole, ma manca sempre quello step successivo per far capire agli alunni la finalità ultima del processo integrativo. Con gli anni sono aumentate le figure professionali che si occupano di questi vuoti, ma la situazione non è cambiata di molto”.

Si trova d’accordo con la lettura dell’insegnante anche Carmela Di Giovanni, madre di Vittorio, un ragazzino di 12 che dai primi anni dell’infanzia soffre di disturbi dello spettro autistico e che proprio a Stornarella frequenta attualmente la scuola elementare.

“Non ci siamo mai nascosti – racconta – abbiamo sempre portato Vittorio in tutte le occasioni pubbliche senza alcuna vergogna, perché è questa la strada giusta da seguire se si vuole trasmettere un messaggio di apertura. A scuola mio figlio si trova benissimo eppure, nonostante sia ben voluto da tutti, è ancora molto difficile abbattere quel muro che lo separa dai suoi coetanei, durante le ore del pomeriggio o comunque quando la scuola è chiusa”.

Carmela, per descrivere la trasversalità del processo integrativo, racconta di quando suo figlio si perse per le strade del paese e furono addirittura dei cittadini extracomunitari a riaccompagnarlo a casa.

“Un territorio così piccolo e circoscritto – sottolinea la madre di Vittorio – può essere uno svantaggio ma anche un vantaggio. Io personalmente non credo che questi problemi siano riconducibili al fatto che viviamo in una piccola comunità del sud Italia. E’ una cultura che manca un po’ dappertutto, perché mancano dei percorsi duraturi e approfonditi, così come è ancora carente la formazione educativa anche in favore di quelle classi sociali più istruite”.

Insieme a suo marito ha più volte cercato di attivare delle iniziative che riunissero tutte le famiglie che condividono le stesse difficoltà. Vittorio, ad esempio, ama i cavalli e per questo a Stornarella ha preso vita una sorta di giornata della Pet Therapy, dove tanti ragazzi “speciali” hanno avuto modo di giocare con i loro amici animali. Anche se la comunità locale ha risposto in maniera piuttosto fredda e disinteressata – come lei stessa spiega.

“Non abbiamo l’obiettivo di creare un’associazione – aggiunge Carmela – anche perché sarebbe come voler formare un altro ‘ghetto’, isolare ulteriormente questi ragazzi che invece vogliono soltanto stare con gli altri e vogliono che avvenga ciò per iniziativa spontanea dei loro coetanei. Anche un’ora a settimana insieme ai loro amici, per loro richiesta, sarebbe un traguardo che renderebbe più felice la loro vita”.

Questo è quello che si auspica la giovane madre che, con impegno e con una grande forza di volontà, prova ad abbattere, mattoncino dopo mattoncino, il muro dell’indifferenza e anche quello della silenziosa paura verso il “diverso”.

Come vedi la vita di tuo figlio tra vent’anni? “Fortunatamente Vittorio potrà sempre contare sui suoi due fratelli” – conclude, trattenendo la commozione. “Lo Stato lo aiuta economicamente e non gli fa mancare niente, ma mi auguro che possa essere circondato da sempre più persone e da affetti sinceri”.

 

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