Tutti gli anni, di questi tempi, c’è un rituale che non sfugge agli amanti del calcio, inteso come fattore aggregativo. La lunga listona stampata sui fogli rosa della Gazzetta, carta e penna al seguito, bevanda gassata e preferibilmente ghiacciata e si parte con l’asta del fantacalcio, alla presenza degli amici di sempre. Requisiti fondamentali sono: lo sfottò e un budget di fantamilioni, lo stesso per tutti, che rende democratico uno sport che, nel suo corrispettivo realistico, non ha ormai più nulla a che vedere con questa definizione.

Ce lo ha spiegato il fantasmagorico passaggio di Neymar dal Barcellona al Paris Saint Germain, per la cifra complessiva di quasi 500 milioni di euro, di cui 222 sono quelli che lo sceicco Al-Khelaïfi ha stanziato per dribblare a ritmo di samba la clausola rescissoria del talento brasiliano. Un calciomercato, quello ancora in corso, che si è distinto per la più grande mobilitazione di fondi e per il più intenso mescolamento delle rose, come non lo si vedeva da anni, con buona pace di Criscitiello e Pedullà. Ma al di là del dato sportivo, c’è ben altro su cui dibattere.

Il trasferimento di Neymar verso la Tour Eiffel ha permesso agli amanti della disciplina con la palla sferica di rendersi conto di come non esista più alcuna ponderabilità in uno sport che tende sempre più verso la logica del marketing e non verso i dettami dell’aspetto tecnico. L’ultima onerosissima trovata dei qatarioti è addirittura passata come un affare di stato, visto che i mondiali di calcio del 2022 si terranno proprio nel paese degli sceicchi e naturalmente Neymar sarà il testimonial ufficiale. “Money – O’Ney” diventa così una merce da esporre, un robotico totem del sogno orientale che si stamperà su qualsiasi superficie vendibile, per spiegare a tutto il mondo che i paesi degli Emirati sono super fighissimi, nonostante i copricapi discutibili e le scarse libertà personali. Pensate che la maglietta di Neymar al Psg, in 48 ore di instore, ha fruttato ben 10 milioni al califfo. E poco importa se il Qatar sia incappato anche in alcune inchieste per corruzione delle cariche della Fifa, proprio durante la candidatura del paese alla massima competizione per nazionali. Volere è potere. Volere if u have so much dindini, of course. 

Poi c’è il fair play finanziario. Ovvero quel concetto introdotto un po’ ad minchiam secondo il quale un club dovrebbe avere una condotta etica negli affari e dimostrare che tutte le uscite siano commisurate (su per giù) a entrate della stessa entità. Ragion per cui adesso Parigi dovrebbe vendersi la Tour Eiffel e la Gioconda, al miglior offerente. Ma ciò non accadrà e se accadrà sarà soltanto in parte, perché si sa, fatta la legge trovato l’inganno e alla fine il fair play finanziario servirà soltanto ad ostacolare squadre sfigate (tutti i riferimenti all’Inter sono puramente casuali).

Nel frattempo O’Ney dichiara di aver scelto il Parco dei Principi soltanto per il “cuore” che da oggi sul dizionario di Francese sarà modificato alla voce dei sinonimi con l’aggiunta della dicitura in calce di “30 milioni all’anno”. La verità è che non esiste più “il cuore”, ma soltanto l’opportunità di essere il numero uno di sempre. In questo c’è tanto “cervello”. Sembra lontano un secolo quel fenomeno Leicester che vinceva con la squadra di calzolai, con un valore complessivo della rosa ben al di sotto di qualsiasi altro club della Premier. Oggi il calcio è diventato un algoritmo dove la somma fa sempre un risultato, con budget che si moltiplicano esponenzialmente perché questo è quello che conta. Tralasciando il dato sportivo, perché lì si può ancora gufare, ovvero sperare che nonostante i big money messi sul piatto il PSG si accontenti della coppa del nonno.

Allora non ci si spiega come mai il fantacalcio, fatto con gli amici troppo scarsi per impegnarsi nel torneo di calcetto, preveda tutti i budget di partenza uguali e nonostante ciò si chiami “fanta-calcio”. Mentre il calcio – quello vero – sia piegato alle logiche del mercato a tal punto dal risultare sempre meno ponderabile e più squilibrato, quasi come una playstation buggata che ti permetta di acquistare qualsiasi cosa purché si abbiano i codici. Il calcio vero è diventato “fanta”. Senza più un brio di emozione, senza più quelle bollicine che con la Fanta di solito si dovrebbero trovare bene. Ops abbiamo fatto una pubblicità anche in questo articolo. Logiche del marketing ovunque.

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