Mentre racconta la sua storia la signora Grazia Capocchiano (57 anni, di Carapelle) ha la voce tremante e trattiene a fatica l’emozione. Un po’ perché la vita le ha riservato tante prove, un po’ perché non ci sono tante altre possibili reazioni per raccontare una storia così, che congiunge l’ingegno umano al disegno divino. La signora Grazia è la sarta artigiana che da circa 27 anni (salvo qualche anno di stop) cuce e ricama gli abiti che vengono fatti indossare al millenario simulacro della Madonna dell’Incoronata, durante la suggestiva cerimonia della vestizione che ogni anno si tiene presso l’omonimo santuario alle porte di Foggia, durante le festività in onore della Madonna Nera. Un evento che calamita l’attenzione di migliaia di pellegrini da tutte le parti del mondo, gli stessi che in quell’esatto momento dell’ultimo mercoledì di aprile rivolgono uno sguardo devoto proprio verso la vergine con indosso l’ultima creazione della signora Grazia.

Lei racconta in maniera raccolta e sommessa la sua storia personale che l’ha condotta al cospetto di Maria. È una storia che inizia da lontano, dalla bottega di Carapelle dove suo padre (calzolaio) e sua madre (ricamatrice a macchina) le hanno trasmesso la vocazione per i tessuti, per le creazioni a mano, tra ore passate a girare il rullo di una vecchia Singer, anche nel buio della notte. La signora Grazia ha sempre lottato per la sua autonomia e per prendere in mano le redini di questa bottega, ammodernandola e trasferendola alle mansioni più richieste nel rispetto dei canoni moderni. Tra questi sacrifici, col sudore della fronte, ha avuto la grande chiamata, in occasione – come succede spesso – di una prova che la vita le ha messo sul cammino.

Dopo il matrimonio con suo marito, per dei problemi di salute, la signora Grazia capisce che non può avere figli. E allora, parallelamente a tutte le cure del caso, si reca presso il Santuario dell’Incoronata, in occasione di un evento speciale che è rimasto nella storia, quello della visita ufficiale di Papa Giovanni Paolo II. È il 24 maggio del 1987 e dopo 40 giorni, dopo aver affidato le sue intenzioni alla Madonna Nera, la signora Grazia scopre di essere incinta, con sommo stupore del suo dottore che non è mai riuscito a spiegarsi come ciò fosse stato possibile. Dall’evento che lei stessa definisce ‘miracoloso’ è nato il primogenito, ma anche un desiderio di ricambiare in una maniera tangibile quell’aiuto celeste. “Ho sempre guardato con ammirazione il gesto della vestizione, un gesto amorevole che si fa nei confronti di una persona cara, quasi come a volerla proteggere, a ripararla” – spiega a Il Megafono la signora Grazia Capocchiano. “Me ne aveva sempre parlato una mia cara zia, poi raggiunta la maggiore età ho preso parte in prima persona ai pellegrinaggi verso il Santuario, maturando una grande devozione verso la Madonna dell’Incoronata”.

Dopo la nascita del figlio, all’inizio degli anni ’90, la signora Grazia si reca personalmente a colloquio con l’allora rettore del Santuario Padre Romolo Mariani, per chiedere di poter mettere la propria arte a completo servizio delle funzioni religiose. Il caso volle che proprio in quegli anni si stesse riorganizzando la cerimonia della vestizione, con l’idea di aggiungere ogni anno un vestito nuovo. Così nel 1993 la signora Grazia realizza il suo primo vestito per la Madonna dell’Incoronata (ndr. in foto), un abito che oggi definiremmo “classico”, con la seta bianca e le decorazioni dorate. “Il primo abito è stato senza dubbio il più bello” – spiega a Il Megafono la sarta di Carapelle – “non tanto per il disegno, quanto per l’emozione che ha generato in me la sua lavorazione. Per la grande responsabilità e per il timore di non essere all’altezza, ci impiegai quasi un anno, lavorando anche di notte in collaborazione amici e parenti. Ne uscì uno splendido esemplare in cadì di seta bianca, completamente ricamato a mano che ancora oggi ricordo con piacere”.

Negli ultimi anni, anche grazie alle nuove tecnologie, la lavorazione è diventata più rapida, ma non per questo meno complessa. Lavorare 12 metri di stoffa pregiata, per soddisfare le richieste del committente e rendere un bel servizio non è mai facile. Si realizzano due abiti, uno per la Santa Vergine e uno per il bambin Gesù, tutto chiaramente in coordinato. Negli anni, soprattutto per le celebrazioni del Giubileo, la Madonna è stata vestita di rosa, di celeste, di giallo, alternando la presenza di mantelli che partono dalle spalle o dalla testa. Ma sempre mantenendo uno stile sobrio, che risulta arricchito tutt’al più da motivi floreali. “Ma la cosa che più mi emoziona, tutte le volte, è la vista di quel corpetto rosso che cinge la statua di legno e che fa parte della scultura originaria” – spiega la sarta.

Nell’ultimo anno, anche a causa del Covid, non è stato possibile assistere a questo grande gesto di devozione popolare. Un gesto che vede compartecipe, da molti anni, la maestria artigiana della signora Grazia, ma lei nonostante questo di certo non se ne vanta, “anzi al contrario per me è stata una grande responsabilità”. A chi le dice “sei fortunata perché tocchi la Madonna tutti gli anni”, lei risponde che “è sì un privilegio ma anche un onere non indifferente”.

Negli anni la signora Grazia (ndr. in foto) ha sempre nutrito grande amore e devozione verso la vergine Maria. Un amore che le ha fatto superare le tante prove nella vita. Tutti i vestiti creati sono tessuti attraverso le lacrime e le intenzioni di tante persone che, nel momento della sofferenza, hanno teso un filo di contatto verso la Santa Vergine. Ecco perché 27 anni di percorso hanno un valore grandissimo e anche se quest’anno non ci sarà un abito della signora Grazia sulla Madonna Nera, lei è felice comunque perché di questi tempi di pandemia è già tanto che possa tenersi l’atteso evento. Per la sua opera, la sarta carapellese ha ricevuto anche un encomio dal sindaco di Foggia, Franco Landella e, grazie alle abilità mostrate, ha ricevuto altre commissioni da tante altre chiese di Capitanata. Ma il primo amore, verso quella signora scura che riempie di luce il mondo intero, non si scorda mai. “Lei non ha bisogno di un abito per essere quella che è” – conclude la signora Grazia – “l’abito serve ad alimentare la nostra fede, per ricordarci che dobbiamo tendere a lei, nelle nostre vite quotidiane”.

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