Carissimi, inizia l’anno scolastico. Oltre che per gli alunni, la campanella suona per le Istituzioni, il personale docente e non, le famiglie. A nessuno sfugge che ragazzi e giovani sono inondati da informazioni, attrazioni, conoscenze, per cui hanno una sensibilità esplosiva, ma senza il controllo delle emozioni e l’attenzione a se stessi. Non si dà, infatti, ascolto né al mondo esteriore, né a quello interiore. Tutto si percepisce, passa subito ed è allo stesso livello: la guerra, la moda, lo sport. I meccanismi della produzione di massa dei beni di consumo portano a maltrattare e devastare la stessa bellezza del creato e la società violenta e divisa ispira rapporti interpersonali come una guerra silenziosa da cui solo gli amici, il personale docente e non, la famiglia e le Istituzioni possono salvare.

Dopo la pandemia, con la comunicazione digitale, l’altro viene inteso più come contatto che persona. Penso alla messaggistica esasperante che illude perché confusa con la comunicazione interpersonale e che è solo una corrispondenza a cui si dà seguito. Ne consegue l’esaltazione dell’io che distrugge il noi, spezza i legami familiari e sociali, sino a rinchiudere ciascuno nel suo mondo individuale, dove si creano le proprie leggi soggettive.

Di qui quella precarietà, tendenza propria delle nuove generazioni; l’onnipotenza infantile si sente sfidata e non vuole mollare nulla, per restare, paradossalmente, senza nulla. Ciò spiega il vuoto di una vita dove non si sa decidere e assumere delle responsabilità. Abbiamo, così, più informazioni ma scarsa capacità di pensare, riflettere e agire.

I nostri ragazzi e giovani cercano legami basati su fraternità, fiducia e reciprocità. Hanno la sensazione che a nessuno importi di loro. Eppure fraternità, solidarietà, giustizia e pace sono comune denominatore dei loro interessi. Desiderano essere ascoltati per superare quella scarsa fiducia, sostanziale estraneità, attesa di cambiamento. Così la scuola diventa una casa accogliente per tutti, nessuno escluso. Non vogliamo, certo, risolvere un problema che sembra più grande di noi, ma cercare di capire, come sognatori e costruttori in mezzo alle macerie del mondo. I nostri giovani sono una speranza di amicizia, di cammino insieme, di missione comune, e l’accompagnamento diventa esperienza chiave che spinge noi adulti a uno stile nuovo di vicinanza di chi è bisognoso di aiuto. Nel cuore di ogni giovane c’è un grande desiderio di riconciliazione. I ragazzi non chiedono di fare qualcosa per loro, ma prima di tutto di metterci in cammino con loro.

Chi è che non vuole sognare, rischiare, soffrire e fare festa insieme. Insegniamo a non aver mai paura degli altri. I giovani hanno bisogno di ali per volare e radici per stare in terra. Quanto tempo e cura dedichiamo ai nostri ragazzi e ai nostri giovani? Accogliere e amare non sono prerogative limitate ai nostri figli, perché il figlio o la figlia è sempre anche tuo o tua. Noi adulti trascuriamo relazioni con questa carovana di cercatori e, dinanzi a un mondo imprevedibile ma non inafferrabile, la nostra deve svilupparsi come cultura della solidarietà, la competenza che accetta l’incontro, il dubbio, l’aperto. È la cultura del prendersi cura, perché la cura è anche curiosità, capacità di restare in ascolto e sostare nelle domande di ogni nostro incontro. Coraggio: i nostri ragazzi e giovani non siano destinatari, ma significativi interlocutori. Entriamo in una dimensione profonda di ascolto, quale atteggiamento più opportuno per costruire con le giovani generazioni una efficace relazione educativa, proponendo occasioni di crescita, anche e soprattutto, nella fede.

† Vincenzo Pelvi

NESSUN COMMENTO

LASCIA UN COMMENTO