Dietro l’applicazione intransigente delle leggi, si nascondono storie di uomini che hanno sofferto e che, a quanto pare, in molti casi, continueranno a combattere la loro guerra quotidiana e a subire le generali e generiche false convinzioni che si consolidano, all’indomani dei recenti fatti di cronaca. E’ una storia molto particolare quella di Steven Tucker, classe 1966, immigrato sierraleonese, pastore della piccola chiesa Pentecostale di Stornarella, dove risiede stabilmente da circa 7 anni.

Da quando è arrivato in Italia, Steven ha combattuto la sua personale crociata contro il Tribunale di Napoli e la Commissione Territoriale per la Protezione Internazionale di Caserta, per godere di un diritto d’asilo che gli avrebbe permesso di ottenere un nuovo passaporto per un successivo espatrio. Il suo obiettivo era ed è quello di raggiungere la moglie e la figlia di diciannove anni, che attualmente si trovano in Canada ma, per comprendere bene questa storia travagliata, vissuta comunque con il sorriso sulle labbra e l’instancabile fede in Dio, è necessario ripercorrere tutti i passaggi salienti della sua vita.

Nel mese di maggio del 1997, infatti, la guerra civile, che da alcuni anni stava mietendo vittime in Sierra Leone, giunse a Freetown, capitale dello stesso paese dell’Africa Occidentale, nonché luogo dove Steven insegnava biologia in una scuola. “Una mattina – ci racconta il pastore – i ribelli del Fronte Rivoluzionario Unito, presero la città e così abbandonammo le aule per raggiungere le nostre case. Quando rientrai, la mia abitazione era stata distrutta, inoltre mia figlia e mia moglie erano scomparse. Fu terribile. Trovai del sangue a terra e alcuni vicini mi dissero che erano state stuprate e uccise”. Perdute le speranze di ritrovare i suoi cari, dopo essere stato scambiato per un dissidente filogovernativo, Steven viene fatto prigioniero in un campo al confine con la Guinea ma, a causa di alcune ferite riportate, fu lasciato libero e decise di scappare oltre la frontiera. Da quel momento, provò a raggiungere il Nord Africa per ricostruirsi una nuova vita. Con un viaggio che durò per mesi, giunse in Libia, dove iniziò a lavorare come agricoltore. “Sono rimasto a Tripoli – ricorda Steven – per circa 5 anni, ma ad un certo punto il nostro datore di lavoro ha smesso di pagarci e mi vidi costretto a chiedere soldi agli amici. Inoltre, alcuni cittadini libici, molto spesso, entravano nelle nostre case per derubarci e malmenarci. Più volte ho assistito all’uccisione di alcuni miei conoscenti e, durante questi assalti, sono stato derubato del mio passaporto e di altri affetti personali”. Come molti altri, Steven, deciso più che mai a svoltare la sua esistenza, si rivolse ai trafficanti scafisti per salvare alla volta dell’Italia in clandestinità. In cambio di 600 dinari, riuscì ad imbarcarsi e il 9 settembre del 2002, dopo un viaggio molto rischioso, giunse sulle coste di Lampedusa per poi essere affidato al campo di accoglienza di Crotone.

“Dopo un periodo di orientamento – ci spiega – mi sono trasferito a Napoli e poi a Stornarella, dove ho svolto i lavori più disparati, dal commerciante ambulante fino alla raccolta dei pomodori, nei campi della zona. Nel frattempo però, ho partecipato a diversi seminari di formazione sulle Sacre Scritture e questo mi ha permesso di diventare un pastore pentecostale”. Oggi Steven, in paese, è ben voluto da tutti e si è perfettamente integrato, anche se è sempre più difficile trovare un lavoro stabile. “Le persone del posto sono molto accoglienti” – ci spiega mentre fa accomodare circa trenta fedeli, all’interno del locale dove solitamente guida le preghiere.

La mano di Dio è passata sulle spalle di Steven nel lontano 2005, quando giunse a Roma, a casa di alcuni suoi connazionali, in occasione di una festa. Qui, sfogliando alcuni album di fotografie, vide sua moglie e sua figlia, abbracciate, in perfetta salute. “Erano ancora vive – racconta Steven – e grazie ad altri conoscenti sono riuscito a sapere che si trovavano in Canada e che avevano avviato una vita pressoché dignitosa”. Dopo aver ottenuto i recapiti e gli indirizzi, Steven ha sempre cercato di raggiungere i suoi cari, anche solo per rivedere sua figlia, ormai cresciuta. Da anni, è stata avviata la pratica per ottenere lo status di rifugiato politico che gli permetterebbe di disporre di un nuovo passaporto per l’espatrio ma, una sentenza dello scorso anno del Tribunale di Napoli, ha negato tale eventualità dichiarando decadute le circostanze che inizialmente avevano forzato l’allontanamento dal paese natio. “In virtù di questo provvedimento – conclude Steven – tra qualche giorno sarò costretto a ritornare in Sierra Leone, dove ormai non ho più nulla. La guerra non c’è più, ma ci sono parecchie epidemie non ancora debellate. Da lì proverò ad ottenere i visti per il Canada. Io amo l’Italia, amo la sua gente e la sua cultura, ma in questo caso mi sento tradito e amareggiato. Avrebbero potuto facilitare il mio ricongiungimento familiare e invece dovrò necessariamente rivedere quei luoghi infelici che hanno segnato la mia esistenza”.  

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