Fratellanza e libertà…Giustizia, uguaglianza e pace. Non le trovi splendide queste parole, Yuri?” Sono le parole citate da una donna all’interno di una scena del film “Il dottor Zhivago”, nel pieno della rivoluzione russa. Infatti oggi dopo ben 100 anni, quindi un secolo, ci ritroviamo a commemorare l’evento che sconvolse definitivamente il mondo e che cambiò radicalmente il destino dell’umanità. Prima di allora non si era mai verificata una rivoluzione di questo genere. Molto probabilmente neanche la rivoluzione francese del 1789 ebbe la stessa rilevanza di quello che accadde nel 1917 in Russia. In quanto quella francese può essere definita, come già la definiva lo stesso Marx, come una ‘rivoluzione borghese’, uno scontro tra classi sociali borghesi e aristocratiche. Nel 1917, invece, l’obiettivo era totalmente diverso: rovesciare i rapporti di forza e rivoluzionare culturalmente la società. Le classi subalterne non più sfruttate ma addirittura al governo del Paese (“potere ai soviet” era uno degli slogan e obiettivi previsti nelle Tesi d’Aprile di Lenin). La questione della terra era centrale e fondamentale per lo sviluppo della Russia, Lenin e i bolscevichi lo capirono subito; la distribuzione della terra come forma di equità sociale e possibilità di formare la base della nuova avanguardia degli oppressi, ossia il partito comunista. Un’altra questione molto importante riguardava la riforma costituzionale e l’importanza di superare da una parte l’autocrazia zarista e dall’altra il parlamentarismo borghese menscevica per dare pieno potere ai soviet, assemblee permanenti di operai e contadini.

Uguaglianza, terra ai contadini, giustizia sociale e pace, erano queste le parole che costernavano la rivoluzione bolscevica. Non è un caso che fu uno degli eventi che riuscì a porre fine anche alla Prima guerra mondiale. Ma dopo 100 anni che senso ha festeggiare la rivoluzione d’ottobre? Cosa ci ha insegnato? Cosa dovremmo ancora apprendere?

E’ incredibile di come la rivoluzione del ’17 fu la “causa” iniziale che determinò l’espansione a macchia d’olio di una serie di diritti e conquiste all’interno del panorama europeo. Addirittura diritti che, ad esempio, in Italia faranno fatica ad essere approvati se non nel corso degli anni ’70 e ’80 del Novecento. A cosa facciamo riferimento? Ad esempio alla liberazione della donna dalla concezione arcaica di “angelo del focolare”. La parità tra i sessi, e quindi l’uguaglianza, fu uno dei cardini della rivoluzione russa.  Non a caso Lenin più volte incoraggiò il mondo femminile a prendere parte alla rivoluzione d’ottobre affermando: “I piccoli lavori domestici schiaffeggiano, strangolano, sgonfiano e degradano [la donna], le catene della cucina e del vivaio la sprecano in una barbarie improduttiva, con pettegolezzi, nervosismo e schiacciamento sociale”. Le donne cominciarono ad essere retribuite in maniera eguale agli uomini, facendo le stesse ore di lavoro. Soffermandoci su questo aspetto possiamo notare di come ancora oggi in Italia vi è una sorta di discriminazione di questo genere: quante volte le donne, pur facendo le stesse ore di lavoro degli uomini, vengono retribuite in maniera differente in quanto donne. Ma un altro esempio può essere quello del lavoro: le giornate di lavoro vennero diminuite a 8 ore giornaliere ad esclusione dei bambini. Infatti venne introdotto l’obbligo scolastico affinché i bambini non venissero più sfruttati. Anche in questo caso: in Italia dovremo aspettare al 1970 affinché venga istituto l’obbligo scolastico fino all’età di 14 anni.

Mentre al giorno d’oggi il lavoro, almeno in Italia, è diventato una sorta di bingo, un colpo di fortuna. In Unione Sovietica, invece, il lavoro era compito dello Stato: ognuno doveva lavorare in base a ciò che era la sua mansione. Proprio nel noto programma televisivo “Le iene”, l’anno scorso andò in onda un servizio sulle badanti russe nel nostro paese. Tra le tante venne intervistata un’anziana signora la quale rivelò di essere un’ingegnera, di aver lavorato come tale in Unione Sovietica, ma che dopo il crollo fu costretta ad emigrare in Italia e ritrovarsi nel fare la badante. Proprio per questo provava un forte sentimento di nostalgia.

Nel 1920 venne depenalizzato l’aborto e anche il divorzio. Altri temi che in Italia verranno toccati solo negli anni ’70 e verranno conquistati attraverso dei referendum tra critiche e polemiche.  Si arrivò alla liberalizzazione dei costumi. Detto oggi può sembrare una cosa molto banale, ma negli anni ’20 non lo era affatto. Nella Costituzione sovietica venne inserito per la prima volta un articolo che imponeva il rispetto delle minoranze etniche.

La rivoluzione comunista, poi, si trasformerà in un mostro totalitario, lo stalinismo rappresenterà la deriva antitetica degli ideali rivoluzionari, la lotta tra Trotckij e Stalin diventerà il vessillo del passaggio dall’idea di una rivoluzione permanente da espandere nel mondo (internazionalismo) ad una burocratizzazione, culto idolatrico del capo e statolatria che opprimerà molti dissidenti.

Tuttavia nel nostro mondo di fronte ad un potere anonimo, invisibile, finanziario, come sottolinea Toni Negri nell’ultimo lavoro con Michael Hardt ‘Assembly’, i soviet restano un modello da pensare, in quanto rappresentarono l’idea di opporre all’organizzazione produttiva capitalista la condivisione e la solidarietà proletaria; un insieme di forze produttive sociali, un’istituzione non sovrana e non proprietaria. Forse noi, in Italia, a sinistra, abbiamo bisogno proprio di questo: un modello, un’idea di organizzazione della necessità di stare insieme, di produrre e vivere insieme le sfide che una società neoliberista in profonda crisi ci pone davanti. Questo modello deve interconnettersi con tutti gli altri modelli sperimentati nel mondo, per riprendere nell’unità della pluralità quel grande progetto bolscevico di unire comunismo, anti-imperialismo e anticolonialismo.

 

Francesco Grillo

Gianluca Di Giovine

 

 

NESSUN COMMENTO

LASCIA UN COMMENTO