“E’ morto il Carnevale e non si piange più”, un proverbio che sopravvive ancora, soprattutto nell’entroterra pugliese. Un detto che segna il confine tra le tristezze dell’anno trascorso e l’inizio di un nuovo anno ancora da scrivere, con l’ottimismo e la speranza che possa essere propizio.

La morte, la fine del Carnevale, viene ancora testimoniata, in alcuni paesi, dalla Quarantana, appesa ai balconi, alle pareti di casa o dei negozi. Una bambola, un fantoccio, che scandisce il tempo di preparazione alla Pasqua. La Quarantana è una donna brutta, con un fazzoletto nero in testa, il fuso e la conocchia tra le mani e una patata dalla quale pendono sei penne nere e una bianca di gallina. Il fuso e la conocchia indicano la laboriosità delle donne, dedite alla lavorazione della lana, e il trascorrere del tempo che anticamente era rappresentato da Cloto che tesseva il filo. Vestita a lutto, la Quarantana viene considerata la vedova di Carnevale, o l’immagine della meditazione sulla morte di Cristo in tempi di Quaresima. La tradizione vuole che ogni domenica di Quaresima i giovani debbano estrarre una penna nera, e per ultima quella bianca, nel giorno di Pasqua.

Anche Roseto Valfortore nel periodo di Quaresima si riempie di queste bambole. Nel video la testimonianza di una nostra concittadina, in una vecchia intervista datata anni ’90, dove ci illustra la tradizione de “La Quarantana”.

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Comunicato Stampa
Roseto Valfortore



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