È trascorso esattamente un anno dalla scomparsa di Mario Nero. Figura chiave dell’antimafia foggiana, è stato il testimone di giustizia che ha permesso di appurare le responsabilità dell’omicidio di Giovanni Panunzio. La sera del 6 novembre del 1992, Nero vide in faccia l’esecutore materiale dell’assassinio dell’imprenditore edile e, qualche giorno più tardi, si recò in Questura per testimoniare. Da quel momento in poi iniziò l’odissea di Mario, un’odissea che è stata raccontata dallo stesso protagonista in alcune memorie che ha consegnato brevi manu ad alcuni intimi, poco prima della morte. In esclusiva l’Immediato ne riporta alcuni estratti, per testimoniare l’esistenza turbolenta di un uomo che ha ispirato film e libri.

Mario Nero non aveva di certo un carattere facile. Anzi, dai suoi stessi racconti emergono numerose difficoltà in ambito familiare, non soltanto dovute alla scelta di testimoniare ma anche per via della sua personalità spigolosa. Mario si era separato da sua moglie e soltanto di recente si era costruito una nuova famiglia. Ma la più grande sofferenza che portava nel cuore era l’ostracismo che aveva ricevuto dalla sua città d’origine: Orta Nova. Nel suo lungo flusso di coscienza scritto su carta racconta di come furono trattati i genitori dopo che Mario aveva deposto la sua versione dei fatti. Sacchi della spazzatura lanciati all’interno dell’abitazione e appellativi tutt’altro che di elogio, pronunciati anche in sedi istituzionali. Poi negli ultimi anni della sua vita, la sua comunità di appartenenza lo ha riaccolto, grazie all’opera di alcuni vecchi amici e delle associazioni Misericordia di Orta Nova e “Panunzio – Uguaglianza Legalità e Diritti”.

“Ho sempre creduto che la strada del senso civico intrapresa tanti anni fa mi avrebbe, un giorno, riportato a casa, ricongiunto alle persone più care e agli amici. Niente di tutto ciò si è verificato” – scriveva Mario Nero nel memoriale, prima delle ultimissime occasioni di incontro. “Ho ricominciato tante volte da un’altra parte ma tutto è rimasto come sospeso, fino a diventare un apolide. Una persona senza patria e senza diritto di cittadinanza”. Questo rammarico è riconducibile al fatto che, per almeno vent’anni, Mario fosse stato costretto a cambiare residenza, in località sparse per l’Italia, dove – così come rivela lui stesso – per l’eccessiva discrezione e segretezza, veniva scambiato dagli abitanti dei posti dove si stabiliva per un mafioso che stava cercando di cambiare identità.

Mario ha trovato stabilità e pace solamente da morto, purtroppo. Per volontà dell’Associazione Panunzio e per tramite del Comune di Orta Nova, oggi le ceneri riposano presso il cimitero della cittadina che gli ha dato i natali. La traslazione è avvenuta l’anno scorso in segretezza, per motivi di sicurezza, con un toccante commiato a cui hanno preso parte anche i familiari di Mario, come segno di riconciliazione. Mario però non si è mai riconciliato con lo Stato. Nelle sue carte racconta con rammarico di essere stato lasciato solo, dopo aver fatto la scelta giusta. “Almeno per quanto mi riguarda la vita me l’ha distrutta lo Stato con la sua indifferenza, le sue inefficienze, la sua incapacità di gestire testimoni di giustizia. Ad oggi nessuno mi ha mai chiesto scusa per l’odissea vissuta. Nessuna istituzione mi ha mai chiesto scusa. A questo Stato ho dato tutto me stesso, per essere un apolide”. E chissà cosa penserebbe oggi Mario dinanzi all’intitolazione dei giardini di Foggia e alla targa affissa nel Consiglio comunale di Orta Nova.

FONTE: L’IMMEDIATO



NESSUN COMMENTO

LASCIA UN COMMENTO