Cosa sono i miracoli? Questa è la vera domanda che, a mio modesto avviso, ha guidato, Niccolò Ammaniti, durante la stesura e la realizzazione poi di una serie che sicuramente è il calcio definitivo alla tradizione italiana. Ogni legame col passato è rotto. Tutti gli schemi che per anni hanno educato le nostre menti, tutti i lieto fine che ci avevano coccolato come una carezza per conciliarci il sonno sono fuggiti via. Siamo nel 2018 e finalmente possiamo dire che i miracoli favolistici e mitologici così come li abbiamo sempre pensati non esistono.
Ammaniti ci ha schiuso un mondo disilluso e cupo, un mondo moderno che dell’antico candore non ha più niente. Il mondo è esattamente il brutto posto che ci meritiamo. I cattivi sono troppi rispetto ai buoni e nulla può cambiare questo dall’alba dei tempi. Un senso di tetra decadenza non abbandona nessuno dei personaggi principali. La decadenza nell’ammettere a se stessi che si è prodotto della propria vita e non unicamente del proprio spirito.
Il miracolo sarebbe proprio questo. Mantenere la propria purezza ed essenza senza che nessun agente esterno possa invece interferire. Ma non è affatto così che vanno le cose: un politico solo finge sorrisi di fronte al flash incestante della telecamera, finge talmente bene che alla fine inizia a crederci per davvero. Un prete che corrotto dalla sua stessa carne che cerca un motivo per non ammettere che ha sacrificato tutta la sua vita. Una first lady assente e boriosa, capisce che il vuoto che s’è fatta attorno è troppo grande per qualunque ponte. Certe volte è semplicemente troppo tardi. Una bambina sola che gioca a fare la grande, e come i grandi sa far tanto male. Una donna che ha amato tutta la vita un solo momento di felicità lo insegue senza arrendersi, perché la vera forza e il vero dolore scaturiscono solo da noi stessi. Un padre ed un figlio intraprendono un viaggio senza meta e senza cuore solo per accorgersi che la razionalità è una cosa sopravvalutata. Una ragazza capisce che forse ha aspettato tutta la vita un grazie che non arriverà mai e decide di prenderselo da sola. Un laico funzionario, solo e un po’ annoiato, inaspettatamente si trasforma in un cavaliere pronto a difendere qualcosa che non ha ancora capito.
C’è qualcosa di così orrendamente vero in questa serie che a molti non piacerà, lo posso capire. Il ripudio, il disgusto che nascono dal giudizio, dal sentirsi migliori. La verità è che si smette di essere migliori quando se ne prende coscienza.
Raramente una produzione Sky mi ha delusa, infatti non lo ha fatto nemmeno questa volta. La scelta musicale è semplicemente azzeccata, dannatamente pop a tratti, e geniale. Partendo dalla sigla, quando un cristallino e cupo Jimmy Fontana (https://www.youtube.com/
E in questo susseguirsi di ricerche e di conferme, nell’angolo di una piscina vuota una piccola madonnina piange sangue, come se lacrimasse per ogni dolore e morte ingiusta del mondo, come se non fossimo capaci di guardarla davvero negli occhi e capire. E infatti per un classico dubbio rimasto, la seconda stagione sarà quella dei chiarimenti dopo gli eventi, Ammaniti ci culla con Nisi Dominus, RV 608 “Cum dederit” di Antonio Vivaldi (https://www.youtube.com/
“Io ammiro il coraggio di chi ci mette la faccia, il corpo nelle cose. di chi si espone per trovare qualcosa per sé e per gli altri. mentre provo orrore per i pavidi che lanciano insulti protetti dalle quattro mura della loro stanzetta.” Dice durante un’intervista Sole Pietromarchi, moglie del primo ministro alla giornalista. E Ammaniti si è scelto un cast tutto di coraggiosi, pavidi non pervenuti. E io l’ho ammirato per questo, e aspetto di vedere dove questo piccolo miracolo italiano ci porterà.