E’ facile cancellare la storia, dimenticarla, seppellirla come un oggetto di scarso valore, annegare così le nostre origini nel mare dell’oblio. Resuscitarla attraverso un romanzo o un racconto è una forma profonda d’amore che permette al passato di riaffiorare e al presente di restituire le ricchezze dell’antichità. La Daunia è stato il territorio della Puglia settentrionale compresa tra l’Ofanto e il Fortore, denominato così dai Greci. I centri principali della Daunia erano Arpi, Luceria, Teano Apuolo (Ponte di Civitate sul Fortore), Canosa, Troia, Herdonia (Ordona). Centro particolarmente importante è Coppa Nevigata, nei pressi di Manfredonia che ha restituito alla luce reperti di ceramica con motivi geometrici.
La “Maledizione delle stele” è un salto nel passato, un disegno di fantasia che viene ravvivato dalla passione per la storia e per il proprio territorio. Un segno vivo per i cercatori di bellezza, mai stanchi di scoprire le proprie radici.
Marialuigia Troiano, classe 1974, è originaria di Manfredonia. Attualmente vive a Foggia, è sposata e ha tre bambini. É laureata in Lettere Classiche con indirizzo storico-archeologico con una tesi sperimentale in archeologia e storia dell’arte romana sulle urne cinerarie fittili in Daunia;
Dal 2001 insegna di ruolo lettere nelle scuole medie. Ha vinto diversi premi internazionali di poesie (tra cui il Premio Giovani e poesia e il Premio Rotaract Foggia) e nel 2013 ha pubblicato il libro di versi in formato ebook dal titolo “Nel cerchio di un piatto” per la casa editrice Officine Editoriali. Negli ultimi anni si è dedicata maggiormente alla prosa, scrivendo articoli, racconti brevi per libri illustrati e autopubblicando nel 2010 il primo libro, “La casa dei limoni”. A settembre del 2014 ha pubblicato, sempre con i tipi di Officine editoriali, il racconto illustrato per ragazzi “Farfalle d’inverno”, in formato e-book.
Il 5 novembre il suo poemetto sulle storie del mare “Di sale e d’anima” è andato in scena con il concerto per voce recitante, ensemble ed elettronica all’interno della stagione concertistica dell’associazione “G. Curci” di Barletta. Dal 7 al 15 aprile “La maledizione delle stele” è stato presente, insieme alle illustrazioni del libro dell’artista Federica Zanca, all’interno della mostra “Frammenti… di reale” di Villa Vertua a Nova Milanese. La sua poesia “Ode alla doccia” insieme all’illustrazione relativa di Federica Zanca è presente nel catalogo della mostra “Uno sguardo sul tempo” (Biblioteca Pertini, Cinisello Balsamo).


“La maledizione delle stele” un connubio di storia e archeologia, come nasce questo tuffo nella civiltà dauna e perchè?
“Non è mai semplice raccontare come è nato un libro. Le spinte sono tante e di alcune non si è neppure veramente consapevoli. La creazione è un fenomeno misterioso e difficile da inquadrare.
Però posso dirti che l’amore per la storia e l’archeologia ci sono sempre stati, come è facile dedurre dal mio percorso di studi. Quello per i Dauni, protagonisti del mio libro e della storia del mio territorio, anche; e questo fin da piccola, quando i miei mi portavano a visitare le statue stele nel museo del castello di Manfredonia, e io ne venivo stregata e incominciavo a fantasticare sulle vite di questi uomini e donne in pietra. Ma è stato un elemento casuale, anche se poi casuali questi eventi non lo sono mai, a darmi la spinta per iniziare a scrivere il libro.
Un’amica attrice mi chiesto un testo teatrale sugli antichi dauni; le ho detto subito di sì, che avrei fatto il lavoro per la sua compagnia. Lo spettacolo in realtà non è più stato messo in scena ma io ho continuato a scrivere, al primo racconto se ne sono aggiunti altri due e ne è venuta fuori La maledizione delle stele. Desideravo fortemente creare un libro che facesse conoscere gli antichi Dauni, ma non un saggio, fruibile solo dagli addetti ai lavori, bensì un testo fatto di racconti, di emozioni, di volti, che potesse far conoscere i nostri antenati attraverso le avventure dei protagonisti, con la capacità che ha la narrativa di arrivare a tutti, grandi e piccoli, esperti e non””.
Chi è il popolo dauno e perchè è così importante per la nostra terra?
“Il popolo dei Dauni rappresenta le radici storiche e culturali della provincia di Foggia e oltre, prima ancora di quelle greche e quelle, più tarde, romane. I Dauni si inseriscono nel quadro delle civiltà italiche preromane, ma sono caratterizzati da una cultura ben definita, una lingua propria, tradizioni e usanze di cui erano orgogliosi. Ci hanno lasciato tombe principesche con corredi favolosi, intere necropoli e città fiorenti, armi, vasi, utensili e naturalmente, le statue stele, che costituiscono uno degli elementi peculiari di questa civiltà e rappresentano uno strumento importantissimo per la comprensione di quel mondo remoto. Essi, infatti, a quanto ci è dato sapere, non usavano la scrittura, e dunque le statue stele, su cui sono incise scene e figure umane e animali, reali ma più ancora simboliche e rituali, sono uno strumento straordinario, sia pure non sempre facilmente comprensibile, del loro immaginario, profano e religioso. Sto semplificando, ovviamente, il discorso è molto ampio e richiederebbe una sede diversa. Ciò che a me preme qui sottolineare è la straordinaria ricchezza che abbiamo e che ha il diritto di essere conosciuta e valorizzata, innanzitutto da noi che ne siamo gli eredi diretti”.
Chi sono i personaggi dei tuoi racconti e cosa li ha ispirati? I protagonisti dei tre racconti sono personaggi molto diversi tra loro.
“Diomede è l’eroe omerico, il fondatore leggendario di molte delle nostre antiche città adriatiche, un personaggio violento, tracotante, compagno inseparabile dell’astuto “Ulisse” che però viene punito dalla vita stessa per i suoi misfatti. Le fonti greche ci raccontano la sua storia travagliata che si conclude proprio in Daunia, dopo la fondazione di Arpi. La sua figura mi ha affascinato moltissimo e ho provato a ricostruirla partendo dal suo punto di vista, dal punto di vista dell’uomo che vive e combatte fino all’ultimo la lotta, cercando la propria parte di felicità su questa terra. Tuttavia nel suo personaggio è racchiuso anche lo scontro tra la civiltà greca, di cui egli è portatore e quella daunia, fiera e orgogliosa che non vuole sottomettersi alla prima, sia pure riconosciuta come superiore. L’incontro-scontro eterno tra colonizzatori e colonizzati.
Ovviamente la mia è stata un’interpretazione narrativa, ma il fatto che le fonti greche abbiano deciso di far morire proprio in Daunia l’eroe Diomede la dice lunga su come i greci consideravano i nostri antenati.
Arcabis, la protagonista del secondo racconto e il personaggio a cui sono più legata, è invece una ragazza di una ricca famiglia daunia del IV secolo avanti Cristo. I suoi le hanno destinato un marito che non ama, come spesso è accaduto e accade ancora alle donne di tutto il mondo e di ogni epoca. Lei però decide di ribellarsi diventando la sacerdotessa di Cassandra in un tempio che non è mai stato ritrovato, ma di cui le fonti, sempre greche, ci parlano; abbraccerà dunque la statua della dea e sarà sciolta dal vincolo, abbandonando per sempre la società civile. Arcabis è una fanciulla debole e forte allo stesso tempo; compie la scelta che le cambierà per sempre l’esistenza e questo sarà un passo davvero doloroso per lei, ma allo stesso tempo le darà la possibilità di allargare lo sguardo da sé al mondo e riflettere sul suo destino insieme a quello dell’umanità intera. La storia del rituale, noto solo in Daunia, di queste donne che per sfuggire a un matrimonio indesiderato, andavano ad abbracciare la statua di Cassandra non poteva non appassionarmi, in quanto donna e in quanto donna della Daunia, ed è da questo che è nata la storia di Arcabis.
Con don Antonio facciamo, infine, un salto temporale e culturale di più di duemila anni. Questo giovane prete, custode del santuario di monte sant’Angelo, si deve confrontare con la continuità tra antico e moderno, ma soprattutto tra pagano e cristiano. Che non vi sia una soluzione tra i due mondi, ma un complesso equilibrio di elementi che si trasformano, senza che uno prevarichi o sia superiore all’altro, è un rospo ben difficile da inghiottire per lui, abituato a una visione assoluta e monolitica della fede e della cultura cristiana. Ma non può non tenere conto dei dubbi che a un certo punto lo assalgono e gli fanno vivere un’esperienza quasi grottesca. La sua figura nasce da riflessioni e spunti nati nel periodo in cui il racconto è stato scritto: lo studio delle fonti che fanno ipotizzare un tempio pagano sotto il santuario di san Michele famoso in tutto il mondo, l’idea che certi posti siano naturalmente “spirituali”, come la montagna su cui sorge il santuario, la presa di coscienza su quanto si sia in errore nel voler considerare la propria religione superiore o non contaminata dal passato e di conseguenza da altre fedi, tradizioni o culture che siano”.




Sei una grande appassionata di storia e di archeologia, cosa pensi della custodia e della valorizzazione del nostro patrimonio culturale della dimenticata provincia foggiana?
“Tocchi un tasto dolente. Non sono la persona più competente per dirlo, ma credo che sia visibile a tutti quanto i nostri siti archeologici non siano ancora considerati per il loro effettivo valore e potenziale. Passi avanti sono stati fatti e ci sono realtà che fanno ben sperare, ma in generale il nostro patrimonio storico archeologico è lasciato spesso alla mercé dell’incuria e dei tombaroli.
Basti pensare a Herdonia, Arpi e molti altri siti che attendono da anni una vera politica di recupero e valorizzazione. L’economia della nostra provincia, ma ovviamente questo discorso lo si potrebbe fare per ogni parte d’Italia, potrebbe fondarsi solamente sul turismo, quello balneare, gastronomico, naturalistico e culturale. Eppure continuiamo a non fare nulla per preservare, conoscere e rendere accessibile ciò che abbiamo.
Non è importante solo fare uno scavo, è fondamentale conservare e tutelare ogni sito, non lasciarlo nell’abbandono, come spesso, purtroppo, accade. E dare valore a questo straordinario patrimonio, in modo che sia facilmente fruibile, attraverso ricostruzioni, reali e digitali, rievocazioni, drammatizzazioni, eventi che possano avvicinare ogni tipo di pubblico. È quanto si sta facendo, ad esempio, nel sito di Canne e mi auguro che gli sforzi di progettazione e finanziari della nostra provincia possano convergere sempre più in questa direzione”.

di Maria Pia Telera

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