Il 27 gennaio come ogni anno si celebra quella che è stata definita come la giornata della memoria. Un giorno in cui si vuol ricordare una delle pagine più brutte della storia dell’umanità di cui l’intera Europa arrivò a macchiarsi. Infatti se la Germania nazista si rese colpevole politicamente di quello che stava accadendo nei confronti del popolo ebraico; ecco che l’intera Europa decise di girare la testa dall’altra parte facendo finta di nulla. Ultimamente è stato pubblicato, e tradotto, un testo che in questi anni è stato sottovalutato dal titolo “La responsabilità morale sotto la dittatura” della nota filosofa Hannah Arendt. In questo testo la stessa filosofa arriva ad evidenziare che di fronte ad ogni barbarie non vi siano solo responsabilità politiche e pratiche; ma soprattutto morali. Le responsabilità morali sono di coloro che pur sapendo di cosa stia succedendo, decidono di omologarsi e far finta di nulla. La Arendt arriva ad identificare la società come delle rotelle di una fabbrica che girano e dove ognuno di noi compone un pezzo: se solo uno di noi decidesse di sottrarsi da determinati meccanismi, l’intero sistema entrerebbe in fallimento. Ebbene ed è quello che non vi è stato durante quel periodo in cui non solo gli Ebrei, ma tutte le minoranze politiche, religiose e sessuali subirono atti che miravano alla loro distruzione.


Il “fenomeno” della Shoah fu oggetto di studio da parte di diversi filosofi che comunemente si domandavano come fosse stato possibile che l’Europa, la culla della civiltà, si fosse macchiata di tali reati. Tra questi un altro filosofo che ci mostrerà un passaggio molto interessante sarà Franz Neumann, il quale arriverà a parlare di “teoria cospirativa della storia”. Ovvero secondo lo stesso filosofo in ogni epoca storica, nel momento in cui una società arriva ad entrare in crisi, ecco che l’obiettivo è quello di addossare le responsabilità su un determinato “nemico” da eliminare. Quindi potremmo dire, in altri termini, che serve una scusa per poter attuare delle politiche di annichilimento nei confronti degli altri. Basti pensare all’epoca dell’imperatore Nerone quando Roma fu incendiata: la responsabilità doveva ricadere sui cristiani in quel momento perché l’obiettivo era creare un’immagine sbagliata nell’immaginario collettivo che portasse alla giustificazione degli stermini di massa. Stessa cosa è accaduta in Germania con Hitler: nel momento in cui arriva a crollare la Borsa di Wall Strett, la nazione tedesca entra in una fase di crisi e il fuhrer accusa il popolo ebraico di quello che era accaduto.

Una delle frasi che più volte viene citata e che mi colpisce particolarmente è questa: “ricordare per evitare che possa succedere nuovamente”. Ebbene, la domanda che sorge spontanea è la seguente: stiamo davvero utilizzando la memoria come esercizio per evitare nuovamente quei crimini? A me sembra di no. Sembra che la memoria ultimamente sia diventata pura retorica onde guardare quello che sta accadendo attualmente davanti ai nostri occhi. Spesso ci si nasconde dietro la memoria dei campi di sterminio degli Ebrei per evitare di osservare quelli che vigono al giorno d’oggi. Mentre ci commuoviamo dei bambini uccisi nei lager nazisti, non ci accorgiamo che in Libia, ad esempio, stanno accadendo le stesse cose. La Libia in questi ultimi anni è diventata luogo di tortura nei confronti dei bambini e di tutti coloro che decidono di scappare. E questo è stato alimentato anche dall’accordo da parte dell’allora governo Gentiloni con il governo libico che prevede che i migranti che vogliono arrivare in Europa, ma anche quelli che sono stati respinti, vengano portati nei centri di detenzione, i nuovi lager, e subiscano angherie di ogni tipo. Anche attualmente la musica non è cambiata affatto visto che più volte invitiamo la Libia a prendersi cura dei migranti che scappano da altri Paesi, pur sapendo quello che accade.



Ma perché non pensare anche a quello che sta accadendo in Palestina? In Medio Oriente i palestinesi stanno subendo violazioni di diritti umani inimmaginabili da parte dei governi Israeliani. Il sacrosanto diritto di avere uno Stato autonomo con la propria indipendenza. Avere uno Stato significa avere un’identità; e negare questo significa voler realmente far scomparire un altro popolo. Soprattutto quando le negazione avviene attraverso bombe a abusi di potere. E allora vogliamo realmente trasformare la memoria come forma di riscatto e come “sentinella del mattino” proprio per evitare di cadere in quello che è stato? Se così non sarà, questa giornata sempre di più arriverà a perdere di senso.

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