Il 25 aprile del 2016 iniziava il percorso editoriale de Il Megafono dei Cinque Reali Siti, tra tanti timori, qualche certezza e uno speranzoso desiderio di “Liberazione” a fare da sfondo. Un paradigma estremamente aderente alla situazione che stiamo vivendo, cristallizzati nelle nostre incertezze ma sempre più desiderosi di libertà, di riacquisire un tempo ordinario dopo questa pandemia di Coronavirus che ci ha imposto un tempo tutt’altro che ordinario. Ma il 25 aprile è una ricorrenza così importante che non può essere nessun’altra ricorrenza se non quella che celebra la fine della guerra partigiana in Italia e dell’occupazione nazi-fascista. Non possiamo cadere nell’esercizio retorico di fare facili parallelismi tra la nostra situazione attuale e quella che vissero i nostri padri o i nostri nonni, perché quando finirà questa quarantena non sarà e non potrà essere una nuova Liberazione. Sia per il significato intrinseco, sia per le prove che ci attendono.

NESSUN’ALTRA RICORRENZA. Non possiamo creare dei parallelismi con il mondo di oggi perché quello da cui ci si è liberati nel 1945 ha un valore didattico che non deve estinguersi nel tempo. Quando c’è un’emergenza non si cancellano le altre emergenze, ma piuttosto si sommano e si mettono nella stessa agenda delle cose da risolvere. Questo per dire che anche durante il Coronavirus permangono i soliti soprusi da cui l’Italia non ha saputo ancora del tutto affrancarsi, come ad esempio le ineguaglianze sociali, le differenze tra categorie, le violenze di genere e l’intolleranza verso il diverso. Per ricordare che queste questioni sono ancora sul piatto è necessario affermare anche oggi, in piena pandemia da Coronavirus, che il 25 aprile è una data individuata per contrastare quelle iniquità sociali che permangono nel nostro Paese, quelle iniquità seminate nelle colline degli appennini, sgretolate con i ponti e polverizzate sotto le bombe. Quelle, e nient’altro.

TENTATIVI BISLACCHI DI DISTRAZIONE. Bisogna affermare il significato originario del 25 aprile soprattutto oggi perché sono ricorrenti i tentativi sghembi di distrazione di massa in salsa populista. L’ultimo, quello di qualche giorno fa, quello di proporre un inno al Piave dai balconi, un drappo nero, un tricolore e una giornata che sia meno “divisiva”. Si è proposto, quindi, di cambiare la funzione di questa ricorrenza per traslarla al ricordo di tutte le vittime delle guerre, includendo quella al Covid-19. Un pessimo tentativo di far leva sul sensazionalismo e sul trasporto emotivo di questo particolare momento storico. Proprio a causa di questi tentativi malriusciti e mal-giustificati va testimoniato in modo ancor più perentorio il carattere universale e inscalfibile del significato del 25 aprile, soprattutto quest’anno. Come ha scritto in un editoriale degli scorsi giorni Ezio Mauro, contestare il 25 aprile significa “negare la capacità del Paese di saper superare le sue tragedie traendone una lezione”. E’ il caso di dimenticare ciò proprio all’inizio della cosiddetta “fase due”?

IL DOVERE DELL’INFORMAZIONE. Quando si deve dare il giusto nome alle cose l’informazione ha un ruolo fondamentale. Mentre c’è chi cerca di cambiare il significato al 25 aprile, l’Italia scivola al 78esimo posto per la libertà di stampa, un concetto minato e calpestato nel ventennio che appunto precedette la Liberazione. “Liberazione” è anche libertà di potersi esprimere e di poter raccontare come un Paese sta cambiando, senza farsi influenzare dall’opinione dominante, dal pensiero di massa, dai populismi, dalle paure e dalle minacce. In quest’Italia adulta ma non ancora vaccinata dalla disinformazione, a 75 anni dall’insurrezione generale, succede ancora che un direttore di uno dei più autorevoli giornali venga rimosso dal suo ruolo dalla nuova proprietà in corrispondenza di una data che – a detta di sporchi e biechi delinquenti e persecutori – era stata indicata come quella della sua morte. Succede che un altro direttore di un altro quotidiano italiano dica pubblicamente che “i meridionali sono inferiori” davanti alle telecamere che sottolineano il concetto. Dunque, si capisce bene che in questo Paese sia ancora necessario affermare e pretendere la lotta alle disuguaglianze congiuntamente alla stampa libera, come principi fondanti di una Repubblica pluralista e democratica che guarda al futuro.

IL MEGAFONO TESTIMONE DI LIBERTA’. In questo contesto, nel nostro piccolo, ci siamo anche noi. Quest’anno, tra gli obiettivi editoriali, avevamo quello di trasporre al reale la community virtuale. Volevamo organizzare un evento pubblico, con approfondimenti tematici ed anche intrattenimento, per incontrarci dal vivo e festeggiare il IV compleanno del giornale. Purtroppo non è stato possibile perché la salute pubblica è la priorità in questo momento, ma siamo speranzosi – come lo eravamo al primo click dopo lo sbarco online – che la vita ci darà la possibilità di rifarci. Nella nostra microarea di competenza ci siamo ritagliati uno spazio di dialogo, uno spazio dove porre dei temi ad un pubblico che diventa giorno dopo giorno più consapevole e giustamente più esigente. Abbiamo superato grandi sfide e lo abbiamo fatto grazie alla disponibilità del direttore Nicola Saracino, alla collaborazione dei redattori (alcuni storici che ringrazio anche per la vicinanza personale), alla capacità delle figure che a vario titolo si occupano della parte tecnica e al mecenatismo di oltre 15 aziende che ci danno la loro fiducia e al contempo la possibilità di poter fare questo splendido quanto difficile lavoro.

CONCLUSIONI. CI SARA’ UN FUTURO. Con questi presupposti abbiamo innovato, potenziando la sede della redazione, lanciando un’app per gli aggiornamenti in tempo reale, dei format tematici sempre più personalizzati e piazzando il sito www.ilmegafono.eu nella maniera più conforme alle moderne strategie comunicative del web marketing. Con oltre 4,2 milioni di click dalla sua fondazione e quasi 10.000 followers sul più grande canale di risonanza social (Facebook), ci apprestiamo a fare il salto dal “micro” al “macro”, cercando di diventare a tutti gli effetti un giornale provinciale e non più soltanto di paese. Questo vuol dire imparare a ragionare di sistema e capire che tutto ciò che accade intorno a noi è interconnesso con l’intera regione e l’intero Paese. Per fare ciò dobbiamo comunicare come se stessimo parlando ad un lettore quanto più distante da noi, per la prima volta, partendo tutte le volte da zero. Dobbiamo farlo con le stesse auto-regole di sempre, in un contesto dove anche i grandi vacillano: con oggettività, distacco, serietà, deontologia professionale e anche un po’ di sano idealismo. Soltanto in questi termini e con queste certezze tutte le genti che da qui passeranno diranno – a te, Megafono – “che bel fior”.

L’editore e fondatore
Francesco Gasbarro

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