Questa non è una recensione come le altre. Ora mentre sono davanti al pc con il cd di Max Richter che suona sotto per aiutarmi a concentrare e non piangere solo, mi sento onorata e spaventata allo stesso tempo. Questa è la storia di un Sistema che fallisce. Scena dopo scena, parola dopo parola si sentono le crepe di un soffitto chiamato ‘Stato’ che crollano miseramente a terra e non hanno più possibilità di ritornare al proprio posto. Come la vita di Stefano che è semplicemente andata via in un giorno grigio e triste per la Giustizia e per tutti quelli che vanno oltre le polemiche e le critiche, le idiosincrasie e le considerazioni sterili.



Non giudico nessuno, lungi da me farlo ora dopo che ho piacevolmente desistito per tutta la mia vita. Il mio è piuttosto un invito a chi invece su questa vicenda specula e calunnia da anni, anche adesso che, come spesso accade nel mondo cinematografico, un’equipe di avanguardisti ha deciso di portare sullo schermo una verità senza merletti e ghirigori, solo per l’esigenza urgente di dover raccontare.
Alessandro Borghi che interpreta Stefano, mi ha totalmente straziata. Avrò seria difficoltà a vederlo ricoprire altri ruoli dopo che l’ho sentito pronunciare le parole di Stefano con la sua stessa espressione, fedele a ciò che era stato in vita. Raccontare una storia così, in un paese come il nostro non è facile per niente. È stato un documentario, a mio avviso è la giusta definizione per questa pellicola, toccante e sconvolgente. Mi ha commosso per quasi tutto il tempo. Un tipo di commozione che è difficile tradurre in parole.

Stefano era un ex tossico, che si continuava a fumare le canne di hashish e cercava di sopravvivere ai suoi giorni senza molte pretese. Lavorava, andava in chiesa, faceva palestra, si vedeva con gli amici e fumava e poi stava con la sua famiglia con la quale aveva un bel rapporto minato certo dagli anni in cui i suoi cari han fatto sacrifici più emotivi che economici per farlo uscire fuori dal tunnel dell’eroina. La sfortuna di Stefano è stata quella di molti, di pensare che chi porta una divisa non si sognerebbe mai di far del male gratuitamente qualcuno. Stefano non aveva opposto resistenza fisica, forse verbale data la sua inclinazione all’ironia e all’autoironia. Stefano non avrebbe avuto nemmeno la forza di dare uno schiaffo come si deve. Invece ne ha ricevuti molti e non solo. Quelle persone definite “forze dell’ordine” hanno messo in subbuglio così tanto il suo corpo che non c’è stato molto da fare. Nessuno dovrebbe morire così.



Dicono che la cosa più orrenda a questo mondo sia vedere qualcuno che ami soffrire e non poter fare niente per impedirlo. È esattamente così che Rita, Giovanni e Ilaria Cucchi si sentono da quel giorno del 2009. A distanza di nove anni “Sulla mia pelle” testimonia al mondo cosa è accaduto in quei tragici giorni, perché se si dimentica cosa è stato, il ‘Sistema’ continuerà a crollare senza possibilità di salvezza.

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