Quello che abbiamo vissuto da bambini è tutto. Per esempio, ho un ricordo nitido dei primi concetti basilari acquisiti durante la crescita, come il valore dei soldi o più semplicemente cosa fossero in realtà. All’epoca c’era la lira, bellissima alla vista e al tatto. Ricordo discorsi fugaci o frasi fisse ripetute e sentite svariate volte, fino a quando non si acquisisce pian piano la concezione di cosa sia quella strana cosa di carta per la quale tutti si affannano. Una volta da bambina chiesi a mio fratello, mentre rovistava imprecando in playback frugando nel suo salvadanaio, perché i soldi fossero un problema e perché non ce li potevamo stampare noi a casa senza troppe storie.
“I soldi li crea il Governo, li stampano loro e basta, noi non possiamo tutto qui. Loro hanno tipo delle stampanti speciali che noi comuni cittadini non abbiamo, hai studiato ad educazione civica cosa significa cittadino, vero?” Si, io avevo inteso cosa volesse dirmi, ovvero che era una cosa non solo che non si poteva fare, ma che era impossibile proprio, quindi accantonai l’idea senza starci troppo a rimuginare. Rammentando sorridendo questo aneddoto poi, nel 2017 Álex Pina, sceneggiatore spagnolo, scrive e idea “La Casa di Carta”, titolo metaforico che rappresenta la Zecca di Stato Spagnola, ovvero il luogo, o la Casa, in cui la carta diventa danaro.
La serie, trasmessa a livello mondiale su Netflix, narra la perfetta ma rocambolesca preparazione e poi rapina della Zecca per l’appunto per mano di otto criminali spagnoli, con diverse inclinazioni e peculiarità che vengono raggruppati da un super e interessante capo chiamato Il Professore, interpretato da Álvaro Morte (già noto al pubblico italiano per alcune apparizioni ne “Il Segreto” come molti altri attori di questa serie). La narrazione parte dalle prime ore della rapina per poi andare a ritroso attraverso flashback che spiegano i tecnicismi della vicenda e non solo, infatti la voce narrante di tutto ciò è Tokio (ogni criminale ha un nome di città per garantirsi la privacy) una criminale giovane e bella ma con inclinazioni autodistruttive, interpretata da Úrsula Corberó (nota al pubblico italiano per la serie Rai “La dama velata”).
Insomma contro ogni pronostico la Spagna esce dal mondo della soap per entrare in quello della serie e lo fa con una certa grazia. Entrando all’interno della vita di ogni personaggio, spiegandone in motivi di follia e non questa serie è sicuramente l’inizio di un cammino in discesa. Piccola ma non tanto chicca musicale è la versione spagnola di “Bella ciao” la famosissima canzone che i partigiani cantavano sulle colline mentre combattevano i fascisti, reinterpretata e utilizzata con grande rispetto. Ma è con la sigla che han fatto il botto, infatti la canzone di apertura “My life is going on” di Cecilia Krull, bellissimo per altro, è diventata un successo radiofonico e già remixato una dozzina di volte. Indubbiamente una serie da non perdere e da vedere assolutamente, smacco alle mille americane che ci vediamo con tanto amore.