Mistica, struggente e serafica oserei dire. L’ultima pellicola di Ferzan Ozpetek, Napoli velata, ha avuto un sapore agrodolce alla sua visione. Dopo i grandi successi come Magnifica presenza, Le fate ignoranti e naturalmente La finestra di fronte, Ozpetek torna ancora una volta sul tema dell’assenza e di come ognuno di noi affronti quel che ne consegue.
Come sempre l’incedere della storia si esplica attraverso personaggi in apparenza bizzarri e superficiali ma che allo stesso tempo non nascondono la loro particolare bellezza. I ritmi lenti e sommessi sono stati come reverenti e rispettosi a favore di una fotografia eccellente che ha saputo cogliere tutto quello che il regista voleva trasmettere della sua percezione di una meravigliosa Napoli che come sempre affascina e sconvolge, una città ricca di un’arte che è solo napoletana nella sua cultura così riconoscibile e diversa da qualsiasi altra.
Anche le musiche sono state inferiori a differenza del passato, anche se la canzone di Arisa, Vasame, è stata superbamente concepita per essere incastonata dell’intreccio narrativo. Ozpetek torna a lavorare con una matura e diversa Giovanna Mezzogiorno, che interpreta una giovane dottoressa dal passato ricco di dubbi irrisolti che ne incappa in un altro ancor più intricato. L’occhio, a mio avviso un vero vezzo nelle sue pellicole, nuovamente ha da raccontare ciò che troppo spesso esso comunica senza l’ausilio delle parole che si riempiono di ironia o mezze verità. Ed è proprio questo il punto: cosa vediamo realmente? Quale velo campeggia fra noi e la realtà? Il regista naturalmente non lo dice, anzi lascia che sia lo spettatore a donare alla storia il proprio punto di vista alludendo alla più grande delle verità, ovvero che non ne esistono poiché ognuno ne vede una diversa. La morte di ogni razionalità forse, ma indubbiamente una celebrazione dell’unicità dell’essere umano.